Venticinquenne inglese già al quarto disco, Patrick Wolf è l’ex enfant prodige della musica indie pop; quotatissimo da sempre, che non è riuscito ancora ad esplodere definitivamente. In questo ‘The Bachelor’, tutto sommato in linea col precedente ‘The Magic Position’ del 2007, c’è molto più ritmo rispetto a ‘Lycanthropy’ (2003) e ‘Wind in the Wires’ (2005), c’è la voglia di diventare una star, c’è la sorprendente coproduzione del rumorosissimo Alec Empire (Atari Teenage Riot), e ci sono tutti gli elementi musicali che Wolf ha fatto suoi nella propria formazione artistica, iniziata con gli studi classici, poi la svolta con l’infatuazione per l’elettronica ed il folk violinistico, e c’è la componente glam ed ambigua che, prima che musicale, è parte integrante della sua personalità. Una mente vulcanica, piena di interessi e molto sensibile e provocatoria, che riversa nei dischi tutto ciò che gli passa per la mente, tentando una sintesi che non sempre riesce, però.
Con ‘The Bachelor’ si torna ad un’etichetta indipendente, dopo l’esperienza major con la Universal di due anni fa, evidentemente non andata a buon fine, ed ecco 14 nuove tracce nelle quali forte è l’influenza di Cure (‘Oblivion’), Depeche Mode (l’elegantissima, impeccabile ‘Damaris’) e Nick Cave (‘The Sun is often Out’), sia nelle atmosfere noir che nell’impostazione vocale classica e wave; eccentrica ed originale la scrittura, vero punto di forza dell’artista inglese assieme alle doti interpretative.
Discreta l’interazione tra elettronica e strumenti tradizionali, giocata coraggiosamente anche su un terreno accidentato come il folk, malgrado violino e violoncello talvolta siano un po’ abusati, rischiando di condurre i brani in pericolosi territori kitch; non ci riferiamo però alla geniale ballata ‘Blackdown’, 5’21”, divisa in tre ideali movimenti: pianoforte stile Elton John inizialmente, dimesso quartetto d’archi nel finale, ed il nostro non resiste alla tentazione di inserire nel mezzo 20 secondi di danza irlandese con tanto di pipes, inaspettate e piacevoli, però.
Mancano solo la spada di Conan e l’astronave di Star Trek, nella copertina epic glam che dà un’indicazione sulla personalità di questo ragazzo, che molti per temperamento e coraggio vedono come alter ego britannico di Antony e Joanna Newsom – almeno musicalmente, il paragane non calza granchè, però – e che ama essere sopra le righe, anche a rischio di esagerare. ‘Battle’, via di mezzo tra l’hip hop e David Bowie, è francamente un po’ cafona. Bene invece l’electro pop e la wave anni 80, con chitarre elettriche e cantato stile Morrissey, ed ineccepibili i brani più spintamente elettronici, come ‘The Messenger’, o ‘Vulture’ in cui è palese la collaborazione di Alec Empire.
Pensiamo a conti fatti che l’entusiasmo creativo di Patrick Wolf sia da ammirare ed incoraggiare. Chiaro che potrebbe raccogliere più riconoscimenti giocando sul sicuro – e potrebbe, con quella voce e quella scrittura – ed affidandosi a produttori tradizionali che gli imponessero paletti, con l’intento di farne l’ennesimo revivalista anni 80, ma addio colpi di genio, allora, e sarebbe un peccato. Aspettiamolo ancora, diamogli tempo per chiarirsi le idee. Approposito di coraggio: avete visto lo scabroso videoclip che Wolf ha scelto per promuovere ‘Vulture’?
Autore: Fausto Turi