È proprio vero che quando vai una volta a Benicàssim, devi ritornarci almeno un’altra volta.
O anche due o forse tre, quattro, cinque volte consecutive.
Accade che, di questo posto, dopo un anno ricordi esattamente tutto: il ristorante dove hai mangiato con l’aria condizionata “settata” per i pinguini (usanza tipica del luogo), il prato sul quale, sotto un palma, hai riposato le tue membra dopo nottate (dopo mattinate anzi) di divertimento assoluto. Passeggi e tutto intorno ti è familiare, come se fosse rimasto tutto esattamente come era un anno prima. Ma cos’è che rende questo posto unico? Quale terribile stregoneria lo rende annualmente invaso da migliaia di persone? Si scrive FIB ed è il Festival Internacional de Benicàssim. È un festival dove per 5 giorni ci si incontra, si ascolta buona musica, si beve birra: un’enorme festa 24 su 24 in ogni spazio della città. Non ci resta altro che aspettare e goderci lo spettacolo.
Giovedì 4 agosto
Il FIB comincia (con il consueto “FIB start”, serata di “antipasto” al festival vero e proprio) ed è subito festa. Rimaniamo folgorati dai The Poliphonic Spree, una gospel band di ben 23 elementi, dei quali non si può fare a meno di notare la loro straordinaria presenza. Divertenti ballate pop rock che ricordano moltissimo gli anni ’60 dei Beach Boys, e qualcosina dei Flaming Lips. Lo stesso cantante Tom Delaughter ricorda fisicamente le icone classiche di quell’epoca. Eccezionali nell’esecuzione e particolarmente coinvolgenti, sono brani quali: “Hold me now”, “Soldier girls”, “It’s the sun”. Sottotono è invece la performance dei The Tears, band composta dagli ex Suede, Bernard Butler e Bret Anderson: poco agevolati di un’acustica “otturata”, danno vita ad un concerto caratterizzato da suoni molto poco definiti e da una voce scarsamente marcata, ben diversa dalle capacità canore, ben note, del cantante. Aldilà dell’acustica “poco raffinata”, si nota poco entusiasmo tra il pubblico, poco coinvolto da canzoni che risultano essere ripetitive. Peccato.
Alle 02.45 confidiamo negli Underworld per risvegliare la serata. Fin da subito propongono un concerto dal fortissimo impatto visivo e sonoro aprendo con la potente “Dark and long” seguita dal pezzo che li ha resi famosi, “Born slippy”. L’atmosfera è quella di una immensa dance-hall a cielo aperto come nella migliore tradizione del FIB, dove ad importanti concerti rock –pop, si alternano altrettante performance dance. La gente del FIB vuole divertirsi e gli Underworld esaltano queste sensazioni. In particolar modo lo stesso cantante Karl Hyde sa intrattenere il pubblico scatenandosi anch’egli sul palco e giocando con la telecamera. La gente alla fine dei 90 minuti di concerto dimostra ancora di voler ballare. Giusto il tempo di prendere una birra che il desiderio viene immediatamente appagato dall’ingresso il palco dagli Optimo Dj’s, che concludono la serata estenuando al ritmo di elettro-rock, un pubblico ancora sovraeccitato dalla prestazione degli Underworld.
Venerdì 5 agosto.
Arriviamo giusto in tempo per assistere al concerto dei Les Tres Bien Ensemble. Sono le 17.30 e sotto il tendone dell’Escenario Hellomoto-FiberFib.con, non fa caldo come l’anno scorso: hanno installato getti di vapore, grazie ai quali possiamo goderci in pieno lo spettacolo che Susette, Lucien, Philippe e Serge offrono ad un pubblico modesto nel numero ma felice per come i quattro catalani hanno cantato e suonato amori e nostalgie per il pop francese. La loro musica espressa in canzoni come “C’est fini”, “Les Vacances” o “À Hélène” emula un mondo fiabesco la cui colonna sonora sono le loro canzoni dense di serenità e umiltà. Insomma è come assaporare, ascoltandoli, ogni piccolo piacere della vita che molte volte ci sfugge.
Alle 21.00 sull’Escenario Verde ci sono gli Athlete. Canzoni pulite, suoni netti che entusiasmano e tengono il pubblico attento e soddisfatto.
Abbiamo tutto il tempo per arrivare nuovamente allo scenario Hellomoto-FiberFib per assistere al concerto da tempo desiderato e aspettato. I Fisherspooner ci danno un buon esempio di ambizione musicale. Suonano prettamente canzoni del nuovo album “Odyssey”. Un concerto dalle due facce: una prettamente spettacolare che ha colpito il pubblico, l’altra, quella musicale, discretamente presente sul palco ma sicuramente più apprezzabile se ascoltati dal CD.
Alle 21:00 suona Peaches: solito atteggiamento costantemente provocatorio e volutamente volgare ( lo si evince soprattutto dai testi), ed un efficace misto di punk elettronica e rock. Al suo ingresso in scena Merrill Nisker non delude nessuno presentandosi con un abbigliamento(?) consono alle aspettative: camicetta scollata e minigonna vertiginosa. Nelle aspettative rientra anche il concerto, fragoroso e con forti attitudini punk. Il pubblico si diverte e la Nisker non ha alcuna intenzione di far calare l’interesse della performance: decide di destare maggiore attenzione rimanendo in reggiseno e mutandine. Sin dalla mattina si avverte l’attesa riservata al concerto di mezzanotte dei The Cure: ragazzi passeggiano per la via principale di Benicàssim in perfetto stile darkeggiante, alcuni truccati come Robert Smith. L’attesa si conclude alle 23:45. In perfetto orario con il programma, la band sale sul palco davanti ad un pubblico numerosissimo. Si alternano sull’Escenario Verde brani recenti e più vecchi in un concerto che ha dato l’impressione di non essere troppo coinvolgente per coloro che non sono fan sfegatati del gruppo: Robert Smith, in linea col personaggio, esegue una canzone dopo l’altra senza mai interagire col pubblico o accennare un movimento. Ma come detto questo poco importa a chi ne è appassionato: brani come “At night”, “Lullaby” o “One hundred years” col suo inconfondibile riff (durante la cui esecuzione scorrono sugli schermi immagini di morte e distruzione) possono valere un intero concerto. Per non parlare del finale dopo il re-ingresso della band: migliaia di persone cantano “Friday I’m in love” e successivamente “Boys don’t cry” (particolarmente lenta nell’esecuzione). All’1.00 suona Prefuse 73. Mai visto un concerto di una tale potenza accanto a melodie programmate. Due batterie e immediatamente dietro la consolle per Dj ( e che consolle!). Non immaginavo che si potesse avere da due batterie ( suonate nel medesimo tempo e ritmo, una cosa da rimanere a bocca aperta) una delirante sequenza ritmica. Un concerto memorabile anzi oserei dire con una forma maiuscola: ENORME.
Poco dopo ci ritroviamo nel mezzo delle tinte tropicali del carnevale di Notthing Hill allo Escenario Verde. Sul palco una quindicina di musicisti, tutti accompagnati da una varietà di strumenti impensabili. Si vedono sax, percussioni, batterie, bonghi di tutte le specie, chitarre e costumi molto sgargianti. Ascoltiamo: “U Don’t Know Me”, “Og My Gosh!”, “Where’s Your Head At?, e ancora: “Romeo”, “Bingo Bango”, dall’infuocato sound soul-rock . Ops! dimenticavo, loro si chiamano Basement Jaxx!
Sabato 6 agosto.
E’ cominciato il secondo giorno del FIB e ancora una volta siamo in ritardo (milioni di inglesi davanti a noi in fila per la doccia!) per vedere Devendra Banhart. Canzoni folk-rock come nella loro migliore tradizione, che catturano un pubblico entusiasta e felice. I Kings Of Convenience. La prova live per un gruppo come questo è particolarmente ardua visto il genere musicale più adatto forse ad location tipo teatro che un capannone di un festival. Anche per questo il pubblico è curioso di assistere alla performance del duo tra l’altro per la prima volta in Spagna. Purtroppo i suoni e in particolar modo le voci di Eirek Boe e Erlend Oye sono basse e disperse in un ambiente che non risulta essere idoneo. In ogni modo i norvegesi confermano di essere apprezzati dalla folla ed offrono un bello spettacolo che raggiunge momenti particolarmente intensi con canzoni quali “Misread”, “Homesick” o “ Stay out of trouble”. Sul palco i due dimostrano di sapere fare buona musica ma di essere anche in grado di intrattenere (soprattutto Oye in verità…). Insomma un concerto che consiglio di vedere ma in un’ambientazione differente, più “accogliente”, se si vuole apprezzare in pieno le capacità dei norvegesi.
I Kaiser Chief a Benicàssim rendono omaggio del vero rock, quello che di ripensamenti ne ha pochi, duro, forte, potente che non dimentichi facilmente. Lo dimostrano le canzoni come “Everyday i love you less and less”, “ I predict a riot”, “Modern way” o “Na na na na naa”. Ci sono 6000 persone che ballano, alzano le mani, saltano e cantano. Oggi il Fib ci ha regalato una delle più belle emozioni di questa edizione e sono qui a godermi, rimanendo a bocca aperta, uno spettacolo che non è secondo a nessuno, che, grazie anche alla follia del cantante – che si arrampica su di una colonna del palco – non riesco a trattenere un senso fortissimo di euforia e contentezza.
I Raveonettes presentano le loro ballad e pop songs come “New York was great” e “Red Tan”, concedendosi di tanto in tanto qualche rumorismo alla Sonic Youth (ma non vorrei bestemmiare..) come nel brano “Attack of ghost riders”, uno dei pezzi maggiormente riusciti. Nel complesso un concerto piacevole del duo supportato bene dal resto della band (in particolar modo il secondo chitarrista si scatena sullo strumento); vi è forse una disomogeneità tra i pezzi che risaltano in modo evidente la scelta del gruppo di ammorbidire i suoni tra il primo e secondo album.
In attesa che trovino il loro giusto equilibrio…
St. Wemer e Andi Toma aka Mouse On Mars sono coscienti che la loro musica si è fatta per essere ballata. Ed infatti questa sera, nello scenario Hellomoto, la loro post-techno fa ballare davvero tutti. Sono soddisfatto di essermi alzato dalla tribuna stampa durante il concerto dei Keane. Questa sera allo scenario si è peccato di “commerciale”, molto “user-friendly” e poco ricercato. Un live dalle chiare intenzioni adolescenziali o più semplicemente utile per spot televisivi. Insomma un concerto seguito da una grossa fetta di inglesi…il resto era a sentire buona musica.
Se per i The Cure l’attesa si respirava durante la stessa mattinata della loro performance, per i Dinosaur Jr. non avviene la stessa cosa. Siamo curiosi di assistere a questo live, se non altro perché, nel bene o nel male, è un concerto che un po’ tutti vorranno ascoltare e vedere. Non sapremo mai però come veramente sono sul palco i Dinosaur Jr. Non suonano tantissimo e soprattutto si nota un certo distacco tra i membri del gruppo, ognuno suona per sé. Certo però che la figura di J. Mascis rimane sempre la stessa, invecchiato ovviamente, capelli lisci e lunghissimi ma bianchi. Momenti migliori della scaletta: “Little Furry Things” e “Freak Scene”.
Rispetto alle aspettative ci si aspettava un concerto molto più carico e coinvolgente.
I !!! ( si legge chk chk chk) sono un classico esempio di band che dal vivo assume un evidente valore aggiunto. Il pubblico si scatena sulle sonorità elettroniche del gruppo guidati da un Nic Offer che dimostra di essere una vero e proprio animale da palcoscenico ed esalta il numeroso pubblico accorso a vederli. Infatti nonostante il calco del capannone e le dimensioni non eccessive, parecchie centinaia di persone ballano e sudano ad ogni pezzo del gruppo.
Ad un osservatore attento potrebbe sembrare che la Spagna non porti bene ai Radio 4. Sia al Primavera Sound che quest’anno al FIB i 5 di New York sono apparsi sottotono.
Domenica 7
Domenica 7, oltre ad essere l’ultimo giorni di festival è anche il giorno in cui suonano alle 18.40 i Maximo Park. Al grido “Siamo i Maximo Park”, Paul Smith salta sul palco con grande energia. Uno spettacolo che acquista sempre maggiore notorietà. Il suoni sono grandi e immensi. Aprono con “Signal & Sign”, tema elettrico, potente, perfetto. Continuano con “A Certain Tigger”, “Graffiti”, “I Want You To Stay”. Un tandem di chitarre e tastiere sintetizzano una musica intensa e potente. Un concerto fantastico per chi li conosce già, e un’impressione fantastica per chi invece non li aveva ancora visti e sentiti.
Restiamo ancora sotto questo tendone per assistere al concerto dei The Wedding Present. Si nota tutta l’esperienza ventennale di David Gedge, cui va il merito di aver costruito un gruppo dalle peculiarità assai diverse, che spazia dal rock “puro”, a melodie pop, passando per pezzi del tutto punk. Si incomincia con “Intestate 5”, contagiosa. Suonano canzoni vecchie come “My Favorite Dress” (che ha 18 anni), “Kennedy” e “Dalliance”. Insomma un repertorio con tanta varietà di musica tra il nuovo e il vecchio.
Entra in classica tenuta nera con passo dinoccolato sbiascicando parole di saluto. E’ Nick Cave. Inconfondibile. Già il suo ingresso trasuda adrenalina allo stato puro e l’impressione che sarà un gran concerto è palpabile nell’aria. Anche chi non ne è estimatore o non lo conosce benissimo, non può negare che sia un gran trascinatore e un uomo dotato di un eccezionale carisma.
Si parte con una versione potentissima di “Get ready for love” dove il nostro si esibisce saltellando da una parte all’altra del palco tirando calci in aria. Cave dimostra di essere anch’egli sovraeccitato per l’evento interagendo con il pubblico praticamente ad ogni pezzo, accendendosi sigarette in maniera forsennata e dirigendo a modo suo la band dei Bad Seeds. Il concerto continua con molti brani tratti dall’ultimo doppio album, “Abbatoir blues/The lyre of Orpheus”. In particolar modo esaltanti le versioni di “There she goes, my beautiful world” e “Supernaturally”, molto più rock e ricche dal punto di vista strumentale rispetto alla versione in studio. A questo proposito va elogiata la band dei Bad Seeds che accompagna l’artista australiano da ormai molti anni: meriterebbero un commento a parte ognuno dei sei componenti bravissimi tecnicamente e perfettamente in connubio tra loro. In alcuni momenti oscurano addirittura la presenza di Cave e questo ci fa capire quanto siano presenti sul palco. Questa considerazione mi ricorda il concerto di Cave tenutosi al Neapolis 2005 dove era accompagnato da tre soli elementi della band. Due concerti diversi ed entrambi bellissimi ma dal quale confronto emerge la differente presenza di Nick sul palco. A Napoli monopolizzava praticamente la scena nonostante il violinista Warren Ellis sia un vero e proprio fenomeno. Il concerto si chiude con “Stagger Lee”. Il pubblico è soddisfatto pienamente per un concerto che ha dato l’impressione di essere, se non il migliore, uno dei più appaganti di questo FIB 2005. Grande Nick!
E’ mezzanotte. Mylo suona alla stessa ora degli Oasis sul palco dell’Hellomoto ma il capannone è stracolmo comunque: chi ascolta Mylo non ascolta gli Oasis e viceversa. Non ci fosse stato il gruppo inglese avremmo avuto semplicemente qualche curioso in più. C’è attesa per il concerto di questo ragazzo scozzese che con l’album “Destroy Rock & roll” si è posto all’attenzione di molti. Un album che contiene una serie di bellissime canzoni elettropop dalle quali è difficile estrarre un solo singolo.
Mylo, accompagnato da basso, batteria e chitarra non delude assolutamente proponendo una performance coinvolgente e senza un minuto di tregua per un pubblico che balla senza sosta. Pauroso il finale con una versione “allungata” di “Drop the pressure”: non c’è a perdita d’occhio una sola persona che stia ferma. Di sicuro uno dei concerti più interessanti e divertenti del festival.
Bisogna a questo punto stilare un giudizio conclusivo, tralasciando tutto quello che concerne l’ozio pre FIB e soffermandosi sul Festival vero e proprio.
Anche quest’anno i numerosi palchi hanno offerto una varietà pressoché infinita di musica (FIB docet!) ma ci teniamo ad evidenziare un palco in particolare, l’Hellomoto-FiberFib.com. Qui si sono alternati gruppi da cui già ci si aspettava molto (erano confermate le loro capacità) e gruppi misconosciuti che si sono rivelati essere grosse promesse.
Ovviamente la buona musica è stata ovunque: l’Escenario Verde è stato calcato da ottimi artisti, non poteva essere altrimenti. Prima di concludere è importante osservare una cosa. Giunti a Benicàssim si è fatta sempre più forte la sensazione di essere ad un festival costruito per gli inglesi. Gruppi come Oasis, Kasabian, Keane, hanno richiamato una vastissima rappresentanza britannica. Passeggiando per le strade era evidente questa sensazione. Con questo non vogliamo disprezzare l’organizzazione ma solo far notare quali enormi interessi economici abbia portato una simile gestione. Insomma un grazie da parte del Fib al popolo oltre manica per avere affollato questa cittadina e un grazie da parte nostra per il divertimento che ci hanno offerto (vedi i nostri vicini di tenda, che ci hanno offerto uno spettacolo continuo e divertente a partire dal loro arrivo, quando, già ubriachi fradici, si sono cimentati nell’arduo compito di montare, in quattro, una tenda, riuscendoci solo due ore dopo). Ma soprattutto grazie FIB.
Autore: Ciro Calcagno e Mauro Banchieri foto di _ Ciro Calcagno
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