Nella saga musicale infinita dei grandi ritorni, il 28 maggio scorso ha visto una puntata speciale, benché passata inosservata per molti: dopo ben 16 anni tornano a calcare gli studios i Pastels, duo scozzese formato da Stephen McRobbie e Katrina Mitchell, (persi negli anni per varie strade Gerard Love, John Hogarty, Tom Crossley, Alison Mitchell), probabilmente i primi storici rappresentanti di quello che oggi si definisce come indie-pop.
Se non molti, alcuni certo ricorderanno i loro pilastri degli anni ‘80 Heaven’s Above (1982), I Wonder Why (1983), il capolavoro Something Going On (1984), A Million Tears (1984) I’m Alright With You (1985), Truck Train Tractor (1986), che già allora suonavano nostalgici, ispirandosi ai ritornelli ingenui e alle atmosfere sentimentali della Summer of Love degli anni ’60, inseguendo orecchiabilità, melodie soffuse, qualche sdolcineria e tanto zucchero.
A fine anni ’80 esce Sittin` Pretty (Homestead, 1989), che osò anche avventurarsi nel territorio del noise-rock , per poi continuare negli anni ’90 in voga con lo stile “lo-fi pop” (Thru Your Heart,1991 e Thank You For Being You, 1993).
Seguono poi gli album sotto etichetta Domino, da Yoga a Mobile Safari fino a Illumination (1997), dopodichè il nulla (a parte un album di remixes, una colonna sonora e un progetto con i Tenniscoats).
E’ tanto perciò più clamoroso questo ritorno, di nuovo con Domino, per una band che peraltro non ha mai fatto del fragore sonoro o mediatico il suo stile. Stile che resta lo stesso, identico, quasi cristalizzato, come congelato nella sua purezza infantile e incantata, attraverso i nuovi pezzi, da Secret Music, a Night Time Made Us, a Check My Heart, a Summer Rain. Sono ballate dolci e lente, piene di armonie intense, oniriche, trasognate, a volte però nel loro incanto anche stucchevoli. Solo quando si riesce a trovare una linea melodica veramente incisiva, profonda e straniante, come in After Image, o Slow Summit, entrambi peraltro pezzi strumentali, l’ascolto riesce a staccare dalla sensazione di noia che inevitabilmente uno schema ripetuto in maniera assolutamente identica dopo 16 anni produce.
I fan certo gradiranno proprio questo in Slow Summits: la fedeltà ai vecchi canoni, il fatto che negli anni tutto cambia per non cambiare. Non saremo noi a entrare nella faticosissima diatriba se siano meglio quei gruppi che nella loro carriera trentennale o più hanno sperimentato, cambiato, rinnovato pelle, rispetto a quelli che con tenacia quasi fanatica hanno riprodotto in ogni istante lo stesso stilema. Di sicuro però i Pastels stanno in questo secondo mondo: non hanno voluto cambiare nulla, e dopo 16 anni questo produce nell’ascoltatore uno shock, un trauma, come se immerso in una macchina del tempo, che ha però qualcosa di inevitabilmente artificioso, tanto più si ascoltano e si gradiscono i vocalizzi di Katrina, le chitarre eternamente sincopate di McRobbie, i ritmi perennemente in 4 quarti mai veloci, la voce soffusa e volutamente intima e sussurrata di Stephen.
Siamo di fronte a un marchio che ripete se stesso ininterrottamente: ai fan l’ardua sentenza.
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autore: Francesco Postiglione