Le iniziative di Unplugged in Monti sono nobili, scelgono location incantevoli, ci aiutano a scoprire luoghi della città che altrimenti non conosceremmo e le mettono alla prova costruendo al loro interno eventi al di fuori dei loro schemi.
La Chiesa Metodista sembra immensa: tre lunghe navate e vetrate a mosaico alte e luminose. Sono le 21, non è ancora completamente buio ed è bello il crepuscolo che si affaccia all’interno dalle pareti perimetrali.
Jens Lekman e la sua band tutta al femminile fanno il loro ingresso sul palco/altare, la chiesa è piena, e mi sembra strano, a guardarmi intorno, che tutta quella gente sia davvero lì per ascoltare questo cantore pop svedese, vittima io di una familiarità risultato di un ascolto compulsivo di Nights falls over Kortedala durante gli ultimi 10 anni presente in macchina e nello stereo a di casa. Convinta che sarebbe stata una riunione di famiglia, un incontro tra pochi intimi al quale come al solito sei la ritardataria.
Il primo brano è Evening prayer, dal nuovo album Life will see you now. L’ho ascoltato poche volte ma lo conosco già tutto a memoria, come me buona parte del pubblico – il potere del pop, dell’indie, dei ritmi tropicali, della dolcezza delle melodie che ti fanno dondolare la testa, degli ukulele e dei violini. Seguono Hotwire the Ferris Wheel e Postcard #17. Jens prende una deriva malinconica. Ho l’impressione che non si sia creata l’atmosfera giusta, e me la porto addosso durante tutto il concerto. Aspetto che il pubblico prenda confidenza, che Jens si senta a suo agio, che la gente si alzi e vada sotto l’altare, perché è quello che ci si aspetta da un concerto pop. Ma questo non succede: su Wedding in Finisterre, il terzo brano e anche uno dei più ritmati, le persone che si sono alzate e hanno preso coraggio sono tre – e io non sono tra quelle.
C’è un gap comunicativo, le esortazioni di Jens non coinvolgono il pubblico, l’acustica non fa il suo dovere e gli arrangiamenti, troppo semplificati a mio avviso, di I Know What Love Isn’t e The opposite of Halleluja, i pezzi più riusciti di Nights falls over Kortedala (2007) spengono l’entusiasmo e fanno storcere il naso.
Resta curioso, inspiegabile, sorprendente ai miei occhi il numero di persone presenti e l’entusiasmo, lo stesso che comunque, nonostante tutto, ho io, e che mi fa saltare dalla sedia ogni volta che parte l’intro di una canzone che porto nel cuore. Io in mezzo a tutta questa gente che non capisco proprio da dove venga, che si interpone tra me e Jens, amici di vecchia data, e che canta – a bassa voce, quasi per una forma di rispetto – le mie canzoni preferite.
I due brani del bis, Black cab e A postcard to Nina, concludono lo spettacolo e io sono un po’ delusa e un po’ contenta.
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autrice: Serena Ferraiolo
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