Pietro Santangelo e il suo ensemble PS5 (Pietro Santangelo – tenor and soprano saxophones, piano, additional percussions, vocals; Paolo “Batà” Bianconcini – batà, congas and percussions; Giuseppe Giroffi – alto and baritone saxophones; Vincenzo Lamagna – bass guitar; Salvatore Rainone – drums e con Ludovica Manzo – special guest: vocals extravaganzas on ‘Pajarito Perdido’) hanno dato alle stampe il bello e significativo “Echologia” (Hyperjazz Records).
Per tale occasione abbiamo posto alcune domande a Santangelo.
A distanza di due anni e mezzo da “Unconscious Collective”, a nome PS5, avete dato alle stampe “Echologia” (Hyperjazz Records), un lavoro discografico che sin dal titolo e dalla copertina (di Sabrina Cirillo, ispirata al mito della ninfa Eco) mostra un chiaro intento di focalizzare l’attenzione dell’ascoltatore non solo sulla musica ma anche su tematiche ambientali. Da dove nasce questa esigenza?
‘Penso che produrre sia un’operazione ecologica che ha a che fare con il nostro “habitat” culturale, e penso che, come in agricoltura, nella cura dell’habitat serva diversità per mantenere fertile il “terreno”. Da sempre sono attratto dalle musiche contaminate, meticce e multiculturali perché profondamente convinto che la “purezza” in arte sia un’idea da non perseguire (o per lo meno da perseguire solo per ragioni didattiche, ma non espressive) e credo fermamente che il pensiero unico sia la morte della cultura, nella sua accezione più alta, ma anche dell’intrattenimento più leggero. Abbiamo bisogno di multiculturalità, di suoni che avvicinino culture diverse, che contrastino l’impoverimento culturale e l’atavico provincialismo del nostro paese.
Inoltre volevo sottolineare il mio amore per gli echi vintage e per le tecniche dei pionieri giamaicani del dub.’
Avendo avuto la possibilità di ascoltarvi dal vivo, ho apprezzato molto la vostra capacità espressiva e la vostra resa live; un’esperienza artistico-musicale che indubbiamente vi appartiene. Qual è il tuo rapporto con le esibizioni dal vivo e come vivi, oggi, questa dimensione, soprattutto in relazione all’esponenziale aumento di musica liquida che sta influendo sulle sue modalità di fruizione?
‘Più le esibizioni sono intime più me le godo, quello che preferisco di più in assoluto è la dimensione del club o dei festivals di medie dimensioni, dove il contatto con le persone è palpabile e vibrante. Mi piace lo scambio con il pubblico, anche dopo il concerto, mi piace parlare con chi è venuto a sentirci e godermi tutto il contorno umano. La musica ha più senso se condivisa dal vivo, in tutti i contesti, anche se nei festivaloni grandi spesso mi sono sentito un po’ a disagio. Sicuramente attraversiamo tempi in cui la musica ha perso quel valore culturale e collettivo che ha avuto tra gli anni 60 ed i 90, è un discorso globale che certamente riguarda le nuove tecnologie ma credo che abbia soprattutto a che fare con il sistema generale di valori in cui viviamo. Chi, come me, si è formato musicalmente negli anni 90, ha vissuto la fortuna di vivere l’onda lunga di un modo di fare musica che metteva valori collettivi al centro della sua proposta culturale. C’erano interi “movimenti” legati alla musica, a prescindere dai generi e dalle estetiche, ora mi sembra che la dimensione aggregativa e “sociale” (non social…) della musica sia scivolata in secondo piano.’
In “Echologia” hai dedicato spazio anche a un classico della tradizione napoletana; quale è stata, sotto il profilo strettamente musicale, la genesi che ha portato alla realizzazione del disco?
‘Ho sempre amato Scalinatella, soprattutto nella versione per sola voce e chitarra di Murolo, per la sua connotazione musicale vagamente iberica. L’ho scelta per questo: perché aveva in sé quell’elemento multiculturale, meticcio che penso sia la parte più bella della cultura napoletana. Questo essere non solo fisicamente ma anche culturalmente, al centro del mediterraneo, ci ha portato ad diventare un vero e proprio crocevia musicale. Mi sono permesso di rielaborarla liberamente secondo canoni estetici diversi, dandole anche una parte leggermente psichedelica al centro per cogliere tutti gli aspetti stilistici di cui è fatto il piccolo ecosistema del PS5.’
Per quanto concerne l’attuale scena musicale napoletana, sviluppata pre e post Nu Genea, oltre voi ci sono Psychè, Parbleu, poi Bassolino, Mystic Jungle, Capinera ma anche la scena salernitana; senza contare band storiche come Slivovitz, Fitness Forever e Funkin’ Machine o label nate su questa wave positiva come Periodica o La Scimmia records. Cosa ne pensi di questo fermento e quali sono secondo te gli sviluppi di questa scena? Cosa ti auguri per il bene del movimento e se ritieni la scena compatta. C’è un nome nuovo che uscirà che puoi segnalarci?
La scena è compatta ma a Napoli il problema è il lavoro. Artisticamente la nostra tradizione musicale si basa su una storia fortissima, e di musicisti forti e creativi qui ne nascono ancora tanti ma queste scene alternative, non allineate, o underground, se vuoi fioriscono laddove la cultura della musica dal vivo è florida, e purtroppo negli ultimi anni a Napoli c’è stata una flessione in questo senso…tra proposte nuove ed interessanti ho ascoltato Asakaira (Salerno) ed Amalafede (Napoli), entrambi credo debutteranno presto anche discograficamente.
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