di Daniele Vicari, con Jennifer Ulrich, Elio Germano, Claudio Santamaria, Monica Barladeanu
Diaz più che un film è un incidente probatorio postumo. Sapete? La ricostruzione del fatto con attori che permette ai periti della Procura e a quelli di parte di stabilire meglio la dinamica dei fatti. “Diaz” è tutto in quei mostruosi venti minuti di incursione notturna.
Il tentativo di ornare il film con storie o frame paralleli – l’attivista del social forum che si tromba la busker, i baby black bloc francesi rinchiusi nel bar, la bottiglietta che continua a rotolare per aria – sono meno di un contorno alla macelleria messicana by night. La carrellata sull’operazione ordinata dai vertici di Ps è di impatto quasi “tecnico”, sullo stile di “Trope d’elite” incentrato sugli agenti brasiliani che bastonano le favelas. Ma può ricordare anche “Bloody Sunday”.
L’accostamento con la pellicola sulla domenica di sangue irlandese è però plausibile solo in relazione alle immagini della mattanza. Se Greenaway infatti prova a spiegare i retroscena dell’assalto militare, Daniele Vicari si limita a fungere da atroce webcam sui tonfa (manganelli) che roteano e le teste che saltano. Opzione narrativa e politica che personalmente non mi è dispiaciuta anche perché, pur restando fedele all’intento (costringere lo spettatore/cittadino a vedere), non manca una presa di posizione. La faccia del viscido funzionario di Stato (Scajola?) che compare nei gangli della trama racconta, e molto. Anche solo quando inarca il sopracciglio alla precisa domanda del dirigente: “Ma non facciamo prima a sgomberarli coi lacrimogeni?”. Contro la forza ragion vaga, diceva il barone Zazà.
Autore: Alessandro Chetta