Ogni luogo fornisce fluttuazione, serba in corpo i germi del rinnovamento, contiene un codice genetico fatto dalle stratificazioni culturali, dalla continua nemesi di queste con le sfide ed i sacrifici che la natura matrigna esige, del transito terrestre di popoli e singole testimonianze di vita.
E ciascuno è chiamato ad essere il sequencer del proprio videoscape in mutamento, grazie alla capacità registica di aggregazione multimediale insita nella cultura progettuale che è patrimonio della cultura elettronica intesa in tutte le sue espressioni.
Questa l’idea sottesa al media project “Mediaterrae”, ideato dalle fervide intelligenze di Interferenze (il new arts festival di S. Martino Valle Caudina, ormai zeitgeist per tutta la comunità elettronica italiana e non solo) su commissione della Film Commission della Provincia di Avellino.
Questo intelligente tentativo di innestare nel palinsesto del testo-tessuto urbano una nuova tramatura rappresentante una fase tecnologica che permea con la propria connettività anche le più fiere realtà locali è stato concepito attraverso un esperienza di simbiosi tra artisti audio e video con il paesaggio da rappresentare, calando 18 tra le personalità più interessanti della cultura elettronica contemporanea (quali, tra gli altri, il duo partenopeo Bianco-Valente ed il manipolatore di stringhe di codice Alex Dragulescu) nei boschi, nelle selve e negli insediamenti urbani di Montemarano, borgo nel cuore dell’Irpinia, depositario di una conoscenza tacita di miti e riti in grado di cortocircuitare con le macchine desideranti, per riconfigurarsi in forma di tracce audio e video, tali da diventare i materiali per Irpinia Electronic Landscapes, ipertesto distribuito in diecimila copie nella prossima primavera insieme a Blow Up.
La serata al teatro è una vetrina di questo ambizioso progetto, la punta di un iceberg fatto di incontri tra frequenze di beat e video-frammenti, materiali modulati dal vivo atti a coreografare (e cartografare) il paesaggio mediale preso in esame attraverso diversi gradi di sinestesia.
I lunghi preparativi si concretizzano e prendono vita. Dei tanti artisti presenti nel progetto solo alcuni sono chiamati a rappresentare il collettivo, ai Rechenzentrum (nella prima foto) è affidato il compito di aprire, nella struttura del teatro S. Gesualdo, gremito come da parecchio non si assisteva per una serata di musica elettronica live.
Il duo audio/video berlinese è impeccabile, sia quando propone parti più riflessive a stretto contatto con l’ambient, sia nel momento in cui cerca di scaldare la platea con loops e beats non sempre regolari, attraverso la minimal techno, in puro stile Rechenzentrum, dove sinceramente il duo si sente più a proprio agio. I video sono veramente belli, tante sono anche le immagini raccolte in più giorni di carnevali irpini, rese ancor più “psichedeliche” dai software. Talvolta le immagini più che la musica, paradossalmente, attraggono l’attenzione degli utenti, sempre meno a proprio agio nel seguire un uomo che suona il suo computerino…
Al termine della comunque ottima prestazione del duo berlinese, segue sul palco Scott Monteith, al secolo Deadbeat (nella seconda foto), che di recente si è visto già in giro per le province della Campania. Il canadese per la serata opta per il dub classico che l’ha lanciato sulle platee internazionali. Parte un po’ a rilento però, forse troppo, così che il pubblico già impegnato dalla robusta prova dei Rechenzentrum, non sempre riesce ad apprezzare a pieno un live che in ogni caso cresce in continuazione raggiungendo il massimo verso il finale, soprattutto, quando Scott aggiunge al dub l’elettronica minimale che negli ultimi anni l’ha consolidato in diversi ambienti.
Il personaggio più atteso della serata è indubbiamente Jaki Liebezeit, un uomo che non ha bisogno di presentazioni. Tant’è che appena fa ingresso sul palco, il pubblico si lascia andare in una piccola ovazione. Jaki, a dispetto dell’età sembra un giovanotto. Si posiziona alla sua batteria composta di soli Tom, Snare e piatti mentre al suo fianco è presente il compagno Burnt Friedman(nella terza foto), scagnozzo della Scape, e con il quale negli ultimi anni ha prodotto ben due album: “Secret Rhythms” e il seguito “Secret Rhythms 2”. Jaki è veramente un mostro, non perde mai il tempo, mai una battuta, neanche quando in un paio d’occasioni non s’intende con Friedman, forse troppo timido in qualità d’elemento elettronico del duo, causa anche la forte propensione all’improvvisazione in classica scuola jazzista del percussionista. In ogni caso Jaki e Burnt si fanno veramente apprezzare dal pubblico che segue appassionato i lunghi mantra jazz-elettronici della coppia; e Liebezeit, a dispetto del fatto che in passato ha suonato con gente veramente assurda e con cantanti folli che non si facevano scrupolo neanche di grugnire sui palchi, resta elegante, professionale e forse… più preciso di una macchina! Grande!
Autore: Pasquale Napolitano – Luigi Ferrara – foto di: Leandro Pisano
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