Ante scriptum: attenzione, parti salienti di trama svelate, astenersi dalla lettura se ancora non si è visto il film.
Scriptum: opera di quasi due ore, svelta di sospiri, flash back ed eloquenti silenzi (e qui Bentivoglio attore che sussurra ai cavalli ha il sopravvento) assolati di canicola pugliese. Opera anche di sparate da intrigo rurale all’amatriciana. Rubini si impegna nel mash up tra localismo ispirato – “la terra” è quella del paesino meridionale, protagonista incombente – e il “genere”, in questo caso chiazzato di giallo. Il regista pare spuntarla bene sul local, però al momento del noir fa acqua: giustificabile imprevisto, perché sarà anche vero che il prolifico cineasta-attore ha perso la leggerezza di scrittura, una verginità praticamente, dopo “Tutto l’amore che c’è” (1999). Anche il precedente “L’amore ritorna” arrancava negli affondi.
La storia: il fratello esiliato con grandi fortune a Milano (Bentivoglio) torna per le feste di Pasqua nel paesino delle origini e trova lo sfascio sia allegorico che concreto dei consanguinei, divisi tra usura, politica e fremente associazionismo cattolico. Poi, il cattivo del paese (Rubini), fonte di parecchi malanni per i familiari del nostro, viene ucciso con una schioppettata durante la processione del Venerdì Santo. Chi è stato? Fine primo tempo. Il secondo inseguirà per intero il suddetto interrogativo, che va a sciogliersi con libertà nel lieto fine. Diciamo che da tempo, nei gialli, l’assassino non è più il maggiordomo: grossolano, e parecchio, risulta quindi il tentativo di dirigere lo spettatore-detective verso uno o verso l’altro dei fratelli indiziati. Loro sbraitano, ammiccano, fanno credere che. Tutto inutile: sappiamo che non siete stati voi, nonostante i sanissimi moventi (i debiti per Michele e una pericolosa liaison per Aldo). Infine, prevedibilmente, il meno prevedibile, Mario, è colui che ha premuto il grilletto. Bentivoglio, il protagonista calato dal Nord, si aggira tra tali macerie morali combattuto e frullato come il Nanni Moretti anni ottanta de “La Messa è finita”. Però, ha per la testa una volitività molto più arrembante e decisionale rispetto all’impotente pretino morettiano. Ricca e appagante la scenografia naturale di mare e mura barocche, perché i piccoli centri di Puglia sono meravigliosi gioielli in quiescenza. Bello bastardo, come ci piace, il Rubini laido boss emergente, che purtroppo esce di scena morto ammazzato troppo in fretta. Dunque: piacevoli le passeggiate in riva all’Adriatico (o è lo Ionio?) ma spesso manierata – Rubini a parte – la prova degli attori (che brutti quei pianti sconnessi di Solfrizzi) e di troppo agevole sbroglio il “caso” dell’assassinio; nulla rispetto al thriller che vivificava, ad esempio, le vicende del “Commissario Lo Gatto” (Dino Risi e Lino Banfi, 1986): ricordate? il (non) colpevole lì era davvero un superinsospettabile.
Autore: Sandro Chetta