Siamo sinceri: chi di coloro che hanno letto qualche mese fa della ristampa (per modo di dire – è stata una vera e propria prima, accettabile diffusione) dell’omonimo album di Antony non erano ansiosi di un seguito? D’altronde, pur se giunto a noi pochi mesi fa, quel materiale datava 2000, forse prima. Troppo tempo fa per non chiedere ad Antony (senza “h”, chissà perché) un seguito, una conferma perché non fosse relegato in buona compagnia nel limbo di ciò che viene, passa e non ritorna.
Invece rieccolo, proprio adesso che è giunta l’ora di capitalizzare il successo mietuto non solo tra la critica, ma anche tra (illustri) colleghi, e di qui a poco, prevedibilmente, anche tra una discreta fetta di pubblico. Il materiale in effetti era già pronto al momento della ristampa dell’omonimo album: si trattava di scegliere il momento giusto, e lo sciogliersi dell’indecisione sulla label di uscita (pare si fosse timidamente fatta avanti una major, ma non vorremmo peccare di mitomania).
A prima vista “I Am a Bird Now” non sembra presentare elementi di netta distinzione rispetto al predecessore, vuoi per la forte caratterizzazione e unicità di Antony nel panorama odierno, vuoi per la (apparente) stretta continuità tra i due suoi album. Un ascolto più attento svela però un atteggiamento di maggiore intimità nell’impostazione dei brani – tutti dettagliatamente arrangiati da Antony in persona, ed eseguiti dai fidi Johnsons più qualche manciata di ospiti. Non si tratta più semplicemente di effettuare una sublime rappresentazione di sé e del proprio mondo, ma di mettere, in maniera più sostanziale che enfatica, la propria persona al centro del discorso, in una ricerca e rivelazione di ciò che si cela dietro l’enigmatica figura di un volto pesantemente truccato. In questo senso si fa più intensa che in passato la drammaticità di un appello come l’iniziale ‘Hope There’s Someone’, la cui conclusiva saturazione di pianoforte non è che l’espressione, assieme a un dolente lamento, di un disperato sovraccarico emotivo; o come ‘Man Is the Baby’, nuova lacerante confessione dell’anima. Ciononostante non è unico il segno sotto cui l’album si esplica.
Innanzitutto, e in virtù della popolarità frattento acquisita, Antony si è concesso il lusso di arricchire alcuni brani della presenza di validi ospiti, reclutati tra “concittadini” (Devendra Banhart) e non (Rufus Wainwright), o addirittura tra i suoi eroi artistici (Lou Reed, suo ri-scopritore, e Boy George, “reo” di aver fulminato con la sua immagine, 20 e passa anni fa, l’allora imberbe Antony); in secondo luogo, sotto questo velo di decadentismo grandioso e “very New York” (vedi in copertina la drag queen Candy Darling sul suo letto dopo aver esalato l’ultimo respiro) Antony lascia più d’una semplice porta aperta su un ottimismo fatto di luce e libertà e privo di frustrazione alcuna, che può tanto essere venato di spiritualità gospel (‘My Lady Story’, ‘For Today I Am a Boy’) o di discrezione folk (‘What Can I Do?’ con Rufus, ‘Spiralling’ con Devendra) quanto lievitare sulle corde di un piano (‘You Are My Sister’ con Boy George, la conclusiva ‘Bird Gehrl’) fino a tracimare in esiti trionfali (‘Fistful of Love’ con Reed) da lieto fine di musical. Cui sicuramente Antony troverà modo di fare una degna “reprise”…
Autore: Bob Villani