Parafrasando il titolo del suo nuovo, sesto disco, uscito per Merge Records il 26 gennaio, potremmo esclamare: Torres, che enorme talento! What an Enormous Room infatti è un lavoro sorprendente, ma comunque confermante la bravura di questa cantautrice dell’ultima generazione di donne autrici post 2000. Mackenzie Scott, in arte Torres, dopo i primi tre successi “Torres”, “Sprinter” e “Three Futures” osannati da Pitchfork, Metacritic, Rolling Stones e altre riviste americane, ha continuato a mietere consensi, anche se certamente non è diventata una cantautrice mainstream (ma a quanto pare nemmeno le interessa). Il quarto lavoro, uscito nel 2020 in piena pandemia, “Silver Tongue” con la produzione di Rob Ellis, sembrava aver definito lo stile una volta per tutte. Invece nella sua ricerca musicale continua a prevalere l’eclettismo più puro: dopo appena un anno, nel 2021, esce il quinto disco, “Thirstier”, dove già la cantautrice inseguiva nuovi orizzonti musicali. Adesso, “What An Enormous Room”, che sembra davvero evocare nel titolo la metafora dell’universo musicale, in cui si può pescare sempre in nuove direzioni, stupisce, dicevamo, non perché ci sorprenda la splendida fattura del disco, ma perché Mackenzie, dopo essersi avvicinata a diventare la nuova Joni Mitchell del folk al femminile grazie ai precedenti dischi, svolta a 180 gradi e mette in piedi un disco che viaggia tra il garage rock e l’elettrorock.
L’inizio, con Happy Mans Shoes, peraltro già subito una delle canzoni più belle, è devastante nel suo voler spiazzare chi è abituato ai precedenti dischi: l’attacco è quasi trip hop, in piena musica elettronica, con ritmi lobotomici e parti cantate da fata dark. Life As We Dont Know It è ancora più agguerrita: sembra di sentire i Depeche Mode dei primi tempi in versione acid jazz. I Got the Fear mantiene batterie elettroniche, ma compare una chitarra acustica, e i ritmi calano, verso una ballad che mantiene di più delle precedenti la struttura tipica della canzone a cui siamo abituati dal suo talento. L’episodio, fin qui il più simile ai precedenti dischi, è però solo una pausa, all’interno di un disco che ha una chiara firma di evoluzione in senso garage: ecco infatti Wake to Flowers, uno dei momenti più belli, in cui campeggia la chitarra elettrica e una batteria non elettronica, e l’impianto melodico è da cori epici, di quelli che starebbero bene nell’ultimo disco elettrorock degli Editors, per capirci. La voce di Torres, mai così in sottofondo rispetto agli strumenti, disegna melodie, ma non esplode mai nel disco, proprio perché l’attenzione massima è ai riff, alla post-produzione, all’architettura elettronica dei pezzi. Ugly Mistery torna al post-folk di I Got the Fear, e più in generale alla produzione dei precedenti dischi. Ma il cambiamento è comunque notevole: Torres rinuncia a melodia e dolcezza che tanto abbiamo ascoltato nei precedenti dischi, e ci regala una versione di sé più dura, cattiva, più energica e rock, tanto gustosa quanto quella precedente, anzi, piacevolmente sorprendente.
Collect è forse la canzone più bella del disco, e comunque quella che può definirsi più di tutte la bandiera di questa nuova svolta: sembra di sentire una Sweet Dreams degli Eurithmics e di Marylin Manson fuse insieme in un’unica versione: un autentico capolavoro elettrorock. E Artificial Limit prosegue decisamente su questa scia.
Solo Jerk into Joy, in parte parlata, rappresenta davvero un’eccezione rispetto a quanto ascoltato fin qui, ritornando alle origini dei suoi esordi, e inaugura la sessione finale del disco, dove le chitarre elettriche distorte lasciano spazio a suoni più ariosi e solari, come in Forever Home. Nella sequenza di canzoni garage e dark, questa pausa melodica, dolce e solare impreziosisce ancora di più il disco. Per l’occasione Torres sceglie di usare il falsetto in alcuni fraseggi, per accompagnare la dolcezza pop di questi suoni.
Tutto però mantiene una cornice elettronica che rappresenta la assoluta novità del disco, ed è una novità positivissima, che forse farà storcere il naso ai puristi folk che l’hanno apprezzata nei dischi della prima ora (dischi che potranno riscoprire nella conclusiva Songbird Forever, tutta piano e voce, puro soul con cui Torres si riconcilia con le canzoni degli esordi), ma che a noi fa dire che What An Enormous Room segna un’altra tappa nella sequenza impressionante di piccoli capolavori di questa cantautrice che si candida ad essere una delle artiste più rappresentative della scena musicale di questo terzo decennio del XXI secolo.
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