Sono trascorsi 5 anni dall’ultimo album di Tom Brosseau, e questo Grass Punks contenente 10 brani per 32 minuti segna il ritorno di un folksinger che evidentemente non ha provato a congestionare gli scaffali dei negozi di dischi per sfruttare a tutti i costi l’hype new folk degli anni passati; piuttosto Brosseau sembra tornare a farsi vivo ora che il treno è passato e la moda indie volge altrove, e torna sempre chitarra acustica e voce, seguendo uno stile espositivo profondamente classico, bucolico, tempi medi, voce cristallina e tiepida espressività, con testi narrativi, autoconclusivi, lontani dallo stile poetico impressionistico moderno aperto alle interpretazioni; canzoni in questo disco che parlano di illusioni, tradimenti, lealtà e perseveranza.
L’artista, al decimo disco in carriera – settimo in studio, tra i quali ricordiamo Grand Forks del 2007, concept da recuperare, che narrava del pauroso straripamento del Red River nel 1997 che sommerse un bel pezzo di North Dakota e non risparmiò la casa della sua famiglia – non ama la tecnologia, né applicata agli strumenti né all’incisione, e tra l’altro sceglie una copertina dallo stile grafico chiaramente retrò, quasi a sottolineare questo desiderio conservatore; e la struttura delle composizioni di Grass Punks è abbastanza articolata malgrado la scarna strumentazione, e sembrano assenti le sovraincisioni: in tal modo ne guadagna il realismo dell’esecuzione, nelle quali è intatta financo la suggestione del rumore delle dita che strisciano le corde di metallo; la voce e la chitarra di Brosseau sono sistematicamente contrappuntate dall’accompagnamento chitarristico del compare Sean Atkins, che in qualche occasione doppia la voce; non però nella deliziosa ‘We were Meant to Be Together’, unica in cui Tom Brosseau suona e canta da solo.
Nel disco c’è ‘Today is a Bright new Day‘, ottimistico inno folk in cui monta man mano l’emozione fino all’esplosione solare del ritornello, mentre sia ‘Love High John the Conqueror Root‘ che il singolo ‘Running from Zombies‘, accompagnato in queste settimane da un videoclip, mettono in serie dei cromatismi jazz sulle sei corde piuttosto interessanti ed originali, che ricordano lo stile del grande maestro Stefan Grossman; ‘I Love to Play Guitar‘ è un carezzevole bozzetto arpeggiato che parla della chitarra e della consolazione che essa porta a chi la ama, mentre nell’eleganza di ‘Stack on the Roof Again’ emerge tutto il classicismo del folk americano, tra Merle Haggard, Doc Watson e Johnny Cash, tra le cose migliori del disco; discorso opposto per il fingerstyle veloce di ‘Tami‘, che sembra sospesa tra tradizione e new folk anni zero.
Disco molto piacevole, di sicuro interesse per chi segue il folk americano ed anche per gli appassionati della chitarra acustica. Tom Brosseau ha dichiarato in una recente intervista di aver lavorato per questo disco ad una canzone per volta assieme al fido Sean Atkins, in un ambiente domestico – la cucina di casa Atkins – dedicando grandissima cura a ciascun passaggio di ciascun brano.
autore: Fausto Turi
Tom Brosseau – Running from Zombies from SONGS THEY PLAYED on Vimeo.