Se le innumerevoli date degli Zen Circus non fossero bastate ad evidenziare le capacità di Karim, batterista della celebre band toscana, allora Morte a Credito (l’album d’esordio del suo progetto solista, La notte dei lunghi coltelli), arriva come un fascio di luce a rendere ancor più chiaro il concetto. Un lavoro che si muove a velocità supersonica, attraversando, con una disarmante facilità, sonorità, mood e generi completamente discrepanti fra loro. Nessun punto di riferimento, nessuna possibilità di prendere fiato. L’album (dieci brani, per poco più di mezzora di musica) è una valanga di frequenze che trascina con sé la Storia (e le storie) degli ultimi cento anni, senza chiedere il permesso a nessuno. E questo ci piace, e tanto.
La pasta sonora è multiforme e l’hardcore punk dell’open track (La Caduta), fa perfettamente da contrappasso alle le atmosfere dell’anonima ultima traccia dell’album, che sembrano sputate fuori da un robot gorgheggiante, nei suoi ultimi istanti di vita. Non mancano le citazioni colte. Oltre all’ovvio Céline (da cui il titolo dell’intero album), al Camus della prima traccia e al Toltsoj di “Ivan Iljc”, spunta una interessante J’Ai Toujours Eté En Contact de Dieu in chiave electro-rock, capace di riportare in vita un moderno Prévert in occhiali scuri e tenuta da big beater, pronto a ballare sui bei giri di drum machine della già citata Ivan Iljc. I quarantadue secondi di synth-bass a grana grossa di DDR preparano all’ascolto della title track, nonché primo singolo estratto dall’album. Tra le più facilmente “masticabili” dell’intero lavoro, per quanto piacevole e (molto) coinvolgente, non è certo la sua perla. Questa, infatti, si intitola D’isco Deo: completamente in sardo, scivola via morbida e dorata, ma senza perdere la violenza e l’acida visceralità comune agli altri brani, mettendo da parte qualsiasi mediazione, già solo per la scelta della lingua che risulta, per ovvi motivi, comprensibile a pochi. Interessante anche il paesaggio sonoro dipinto dalla nona traccia, che porta il nome della band: un viaggio tra delay di crash, violini e feedback spinti all’estremo.
Un album spigoloso e di non facile lettura, ma che risulta essere una delle più belle sorprese di questo inizio 2013.
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autore: Alfredo ‘Alph’ Capuano