Abbiamo scovato in rete una serie di servizi video-giornalistici che potremmo definire futuristi o semplicemente attuali. Abbiamo pensato di riproporre queste mini inchieste fatte da Dino Luglio e Giorgio Verdelli (oggi stimato autore di speciali sulla musica per Rai 2), con la speranza che la scena musicale napoletana si concentri pochi minuti a vedere e riflettere. Su cosa riflettere?
Come giornale spesso assorbiamo lamentele su quanto il rock a Napoli non si sia mai veramente sviluppato, se non in rarissime eccezioni, che d’altronde hanno avuto il loro apice lontano dalla città. Spesso viviamo il cruccio di come Napoli sia tagliata fuori dal circuito nazionale, per non dire internazionale, e le analisi che fanno label manager, management, promoter diventano un cane che si morde la coda, e la paura di osare prende il sopravvento e rende le idee “poco napoletane” aria fritta.
Altre volte musicisti e addetti ai lavori ripiegano su se stessi e quasi con complesso di inferiorità si flagellano, sminuendo la loro creatività rivolgendo le proprie attenzioni a forme artistiche esterofile.
I temi di discussioni, forse uguali in ogni città italiana, ciclicamente si ripropongono, magari solo in forme leggermente diverse, ma i contenuti alla fine sono sempre gli stessi. Ed è clamoroso come in questi documenti storici di metà anni ottanta si faccia, lucidamente, un’analisi critica (vedi il primo video) perfettamente calzante anche al periodo odierno.
Una serie di riflessioni che sfociano in “problemi“: incapacità di adeguarsi a standard nazionali, apertura mentale verso nuove forme d’arte e di musica, una grandissima tradizione culturale che diventa un peso e che impedisce l’internazionalizzazione della musica rock napoletana, mancanza di investimenti, una città oppressa da problemi sociali molto più urgenti della musica e, infine, la stangata conclusiva: Napoli è una città in grado di proporre dieci, cento, mille artisti e … tutti in gamba, almeno a parole. Un senso civico-artistico pari al nulla, fatto di gelosie e insana competizione (non fatevi abbindolare da finti concerti con tanti ospiti del neapolitan power), dove le collaborazioni sono funzionali al denaro oppure stemperano invidie o incastrano interessi comuni diversamente irrealizzabili.
Vi riproponiamo questi documenti che ci permettiamo di definire storici, utili a dibattare sullo stato della musica registrata e quella live che Napoli ha offerto negli ultimi tre anni; dal nostro punto di vista riteniamo che ci sia stata una caduta vertiginosa verso il basso, condita da una capacità di trasformare la musica di un’intera città in mera oleografia.
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