La copertina suggerisce la prima impressione di molteplicità. Quel volto rigirato quattro volte altro non è che il riassunto delle visuali date da ognuno dei musicisti che compongono il progetto The Irrepressibles, un nome che sentirete nominare ben presto. L’esordio discografico con “Mirror Mirror” in Inghilterra ha fatto parlare di una delle uscite più significative di questo 2010 appena iniziato. La curiosità non manca né ad ascoltatori, né a recensori. E le parole, come al solito, si sprecheranno.
Stavolta siamo a metà strada tra un’opera di Peter Greenaway e l’esordio – al tempo che fu – di quell’omone dal nome Antony Hegarty. Siamo immersi in una tela del Caravaggio, senza però trovare un museo che ci dia alloggio: quella degli Irrepressibles è piuttosto un’opera che fluttua senza trovare pausa, che pare non stare neanche negli schemi di un pentagramma. Eppure la musica merita ascolto solenne e commozione all’occorrenza. Atmosfera bucolica e genio contemporaneo pizzicano le corde di violino e accarezzano i tasti del pianoforte di un’orchestra che pian piano si compone di suoni d’ogni paese. E poi ancora viola, violoncello, flauto, oboe, clarinetto, basso e voci da dramma teatrale.
Racchiuse in una cornice che farebbe invidia ai cartelloni pubblicitari dello stilista più in voga, le dodici tracce del disco sono messe di fronte allo specchio magico che dovrà eleggere l’inno che le condurrà alla storia. È proprio quando la musica pare moltiplicarsi per ognuno dei nove sofisticati musicisti britannici che “Mirror Mirror” prende vita, come per suggerire i più variegati volti delle sette note attraverso testi che ben si adatterebbero al lontano jazz. Come per portarci a teatro, o – ad occhi chiusi – in un mondo fantastico. Come Alice, ma finalmente senza qualcuno che ci aggiunga gli effetti speciali.
Autore: Micaela De Bernardo