I Pecksniff sono una band proveniente da Parma e se ne infischiano altamente del mondo che va a puttane. Per farlo basta la Black Candy, una manciata di canzoni, due voci (una maschile e una femminile) e tanta ispirazione indie pop. E il gioco è fatto. Honey, You’re Murdering Me è un disco, il terzo della loro carriera, che sa essere allo stesso tempo pop, alternative country e indie folk. Per la gioia di chi gode nell’assegnare le etichette. Ciò che conta è che è un disco genuino, ingenuo, che non si trova a proprio agio in questi tempi così torbidi. Un album di mezz’ora, fatto di perfette canzoni pop, che parla di piccoli uccelli, di Heidi e della sua montagna, della terra dei mostri. E che poi quasi spiazza quando azzarda metafore ardite sul wiskey e sul senso della vita. Quasi non ti aspetteresti un argomento così da adulto da un disco che più sbarazzino non si può. La morbidezza country di “Wonderboy Monsterland” è avvolgente così come lo sguardo puro di “I Learn The Love”; filastrocche fiabesche fioccano come d’altra parte in “ Secret Hotch Potch”, mentre chitarrine acustiche, violini e glockenspiel risuonano un po’ in tutto il disco. Il folk nudo e aggraziato di “Water And Wiskey” è un episodio tutto al femminile che stride con l’energia della successiva “You May Kiss The Bridge”, dove le chitarre elettriche giocano ad essere aggressive come un cagnolino che fa finta di mordere non avendo denti da duro. Un prezioso banjo arricchisce le melodie scanzonate e le atmosfere rurali di “The Valley Of Broken Souls”, dove una batteria in levare dà un senso di movimento molto accentuato, candidando il pezzo in questione ad essere uno dei più interessanti. Il finale di “Funny Lips” è di quelli degni: parte acustico, malinconico e ricco di melodia per poi assumere contorni country pop con l’ingresso della voce femminile. Poi cambia tempo, diventa quasi un valzer, sale di tono, scala di marcia e quando sembra che sia la fine arriva la vera conclusione in una cosa rumorosamente epica. L’unico pezzo di quattro minuti e mezzo, gli altri durano in media due minuti in meno.
Trenta minuti tra Pavement e Adam Green per staccare la spina e ritornare ad osservare il mondo con gli occhi ingenui e giocosi di un tempo. Giusto trenta minuti, perché poi il mondo torna ad andare a puttane.
Autore: Stefano De Stefano