Un disco, “K.G.” edito dalla Flightless, in cui non si lesinano citazioni per ambientazioni che rispecchiano, anche sotto il profilo della ricerca musicale, le chiare intenzioni dei King Gizzard & The Lizard Wizard, nelle modernizzazioni tardo rinascimentali e di quelle che Charles Ives definì come le “note tra le fessure” del pianoforte.
Gli echi a sonorità arabe e indiane ne diviene naturale conseguenza se si considera la matrice, comunque, psichedelica che da sempre accompagna il gruppo australiano, ancorata alla “roccia” di mezzo secolo fa.
E se in “Automation”, “Minimum Brain Size”, “Oddife” ci si limita (ora più ora meno) all’accenno, compresso in vocazioni rock, in “K.G.L.W” e in “Ontology” il richiamo all’oriente diventa ingombrante fino a tracimare, con tratti di elettronico imbarazzo, in “Intrasport”.
“Honey” è brano che avrebbe trovato perfetta collocazione nelle passioni dell’est britanniche di fine anni sessanta, con tanto di fiati d’epoca. “The Hungry Wolf of Fate” congeda, con i suoi cinque minuti da Embryo moderna satura e saturata, un lavoro che aggiunge il sedicesimo capitolo in studio (in nove anni) a una storia e a una (prolifica) discografia che, comunque, dallo splendido garage rock di “12 Bar Bruise” (2012) è giunta sino ai giorni nostri, come spesso accade, senza mai scontentare eccessivamente nessuno, soprattutto la critica più indulgente, nella sua ondivaga alternanza tra melodie a tratti fin troppo pop, ricercata sperimentazione applicata e operazioni di mercato(?) come i cinque album pubblicati nel 2017.
https://kinggizzard.bandcamp.com/album/k-g
https://www.facebook.com/kinggizzardandthelizardwizard/
autore: Marco Sica