Piccoli Rino Gaetano crescono, si abbeverano alla fonte dell’indie nostrano e si moltiplicano, adagiandosi su di un immaginario tipico dei figli dei baby-boomers, di chi si ritrova trent’anni sul groppone e coltiva le proprie illusioni accantonando in un angolo i massimi sistemi (la politica? Ma quando mai?). Eccola qua l’opera prima di Dario Brunori, del suo discettare su Edwige Fenech, ginocchia sbucciate, poeti maledetti, vecchi amori e Supersantos (inteso come pallone da calcio in plastica). In “Vol. 1” c’è tutto questo e molto altro ancora, a tenerlo insieme una forma canzone piuttosto semplice, che si rifà al cantautorato più classico (non solo il già menzionato Rino Gaetano, in mezzo mettiamoci anche il primo Edoardo Bennato) ma non dimentica le lezioni del presente. Facile un altro paragone, quello con Dente, dal quale il musicista calabrese sembra aver ereditato il canto un po’ strascicato e l’attrazione per l’elettronica (ma facendo le debite proporzioni, “Italian dandy” sembra più un pezzo di Burt Bacharach…), senza dimenticare tutta la scuola indie italica. Un disco costruito attorno a strutture semplici, si accennava, della serie chitarra acustica e poche aggiunte (giusto qualche fiato, un pianoforte di passaggio, una sei corde elettrica), un vero e proprio omaggio all’essenzialità (in tutto, il cd gira per poco più di mezz’ora) e a un’urgenza espressiva piuttosto evidente. Perché Dario Brunori è bravo a comunicare, a descrivere una generazione senza eroi da celebrare, che pensa al mutuo da pagare (e non alla rivoluzione sociale) e a come inventarsi la vita. E ci riesce con canzoni cariche di immediatezza e soprattutto belle. Tanto da sperare che, dopo un esordio così brillante, arrivi anche un volume due.
Autore: Giuseppe Catani