Nell’intimo di una delle sale concerti più importanti di Torino, lo Spazio211, ha preso vita una storia che si sposa perfettamente con il noto animo magico di Torino: Syndrome, Mono, Alcest.
E infatti, tanta partecipazione ed entusiasmo (ma contenuto, ché comunque non è un concerto di Ricky Martin e qui ci si veste di nero) per questa triade che mette insieme ascoltatori di post-rock, post e black metal. Insomma: capelli lunghi, abiti scuri, tanto eyeliner e orecchie attente.
Il belga Mathieu Vandekerckhove, fondatore dei più noti Amenra, è il primo a prendere possesso della scena col suo nuovo progetto da solista, Syndrome. Con discrezione, seduto al centro del piccolo palco, Mathieu abbraccia la sua chitarra e ingrana la prima: visual proiettati alle sue spalle (e addosso a lui, per la gioia dei fotografi), suoni dolci e lenti, lui che si muove poco e solo per giocherellare con le manopole della sua pedaliera. Breve, il suo live, ma intenso. Lui, pure. Intenso.
Le luci si fanno blu, appena finito il cambio palco e Moonlight Sonata pervade la sala. Un’ovazione accoglie l’ingresso dei Mono. Entusiasmo meritato, visto che i Mono live non sbagliano un colpo. Niente parole, niente formalità: luce, suono ed energia sono l’unico prezioso contenuto del pacchetto che vogliono regalare al pubblico. Senza fronzoli.
A Tamaki, la bellissima bassista, l’onore di cominciare. Di spalle, sul suo glockenspiel, suona le prime note di Ashes in the Snow, traccia d’apertura anche del concept album del 2009 Hymn to the Immortal Wind uno dei più apprezzati da fan e critica. Dallo stesso album, portano live il capolavoro Pure as Snow, nonché climax di questo concerto torinese. Le atmosfere variano con Dream Odyssey e Recoil, Ignite (datati rispettivamente 2012 e 2014). Solo due pezzi dalla loro ultima fatica, uscita lo scorso ottobre: Death in Rebirth e Requiem For Hell, la title track del disco, che chiude modo secco e violento una storia dall’inizio leggero e fluido e lascia nel pubblico lo straniamento tipico di quando finisce un live dei Mono.
Mentre mi dileguo dalla folla per respirare, vedo il nostro amico Mathieu con un secchiello del ghiaccio e una bottiglia di vodka in grembo. Lui incrocia il mio sguardo e sorride. Qualche minuto dopo, ci ritroviamo fuori da Spazio211 a fumare una sigaretta. Si gela, ma lui ha una misera t-shirt a maniche corte – e la sottoscritta è contenta, perché ha mille tatuaggi da scrutare. Parliamo un po’. Gli chiedo di com’è nata la sua musica, da quali immaginari è ispirata. Mi racconta che, diversamente che dal progetto Amenra, i live di questo progetto da solista sono volutamente più fluidi, organici. Ha iniziato a fare musica al computer, ma non gli piace usarlo durante i live. Sente che quel mezzo toglierebbe l’atmosfera da soundscape che, invece, vuole portare al pubblico.
“Ho sempre amato il minimalismo musicale. Anche i pianisti, solo che io non so suonare il piano quindi compongo alla chitarra. Attingo anche dal cinema, in particolare dalle colonne sonore. Per esempio, amo molto quelle di The Road (il film tratto dall’omonimo romanzo di Mc Carthy) composte da Nick Cave e Warren Ellis”. E come dissentire, d’altronde?
Ascolto la musica mentre guido, per le lunghe e desolate strade del Belgio o anche in cuffia, mentre cammino in città. Mi creo il mio mondo, attraverso il suono, tutto il resto sparisce.
Mentre parliamo, iniziano a suonare gli Alcest. Mi dice che gli piacciono molto, così come i Mono, e che è felice di stare in tour con loro. Io dovrei rientrare, ma prima gli faccio un’ultima domanda a proposito del suo rapporto con le etichette. “Fantastico“, mi dice Mathieu. La Consouling Sounds (etichetta belga che ha prodotto oltre che i già citati Amenra, gli italiani Vanessa Van Basten) lo lascia fare ciò che gli piace, in massima libertà.
Torno in sala per gli Alcest. Mi godo il tutto da una distanza minima, privilegio di chi scatta foto in luoghi in cui il palco non è che una pedana sopraelevata di pochi centimetri e non c’è il cosiddetto pit, la fossa dei fotografi. Li guardo attraverso l’obiettivo, per i primi dieci minuti. Poi osservo la gente della prima fila: i loro volti sono soddisfatti.
Mi allontano, vado in fondo alla sala per ascoltare meglio. Passo dentro la folla: mi sembrano quasi tutti abbastanza coinvolti, qualcuno muove la testa accennando un timido headbanging, ma la maggior parte guarda vorace Neige e soci che riempiono il palco con chili di capelli e attitude da vendere.
La setlist è prevalentemente basata su brani dell’ultimo album, Kodama, uscito lo scorso settembre. ci sono strascichi di black metal, c’è livore, c’è psichedelia, ci sono gli screaming di Neige e c’è anche l’oriente evocato dal nome. C’è tutto, insomma. E si sente forte e chiaro.
Di seguito, la scaletta: Onyx, Kodama, Je Suis D’Ailleurs, Ecailles de Lune, Autre Temps, Oiseaux de Proie, Eclosion, Là Où Naissent Les Couleurs Nouvelles, Délivrance.
Gli Alcest chiudono una serata densa, carica, emozionante. Nera con tinte calde. Come si addice a Torino, d’autunno.
autrice: Daniela Minuti
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