Senza girarci tanto intorno, Storie di poveri mostri, debutto ufficiale degli abruzzesi The Suricates è un disco più mentale che viscerale, segnato da plumbee affabulazioni deliranti e da un cielo basso e uggioso che stringe il cuore, preme alla gola e si libra verticalmente in estatiche litanie post-rock, sette tracce asessuate e sperimentali che danno – e non solo simbolicamente – del tu al buio più buio.
Certamente un lavoro che non ama la mischia, si tiene alla larga da consuetudini e voglie di tendenza, un agglomerato di suoni e sensazioni che si candidano a rimanere nell’area d’ascolto per più d’un giro, non chissà per quale “stravaganteria” piuttosto per quel misterioso respiro “avangarde” che vive, si svela e brucia nel tempo di sette tracce. In collaborazione e ispirato ad una sequenza fotografica dello scrittore/scenografo Antonio Dragonetti, l’album conserva dentro quell’afflato anni ‘70 di un certo progressive intellettuale, per capirci quello dell’Albero Motore, i Cervello, magari più in la un Picchio Dal Pozzo, quella teatralità melodica, virtuale frammista a elucubrazioni “off” che pian piano contagiano l’ascoltatore e ne accompagnano le personali visioni estemporanee che vengono a crearsi durante l’evolversi della tracklist.
Disco dalla notevole personalità, una pathos primitivo alla Battiato pre/Fetus Il sacrificio, la fustigazione lirica alla Carmelo Bene Le streghe, più in giù una melodia goth La processione o il sospiro dannato de L’esorcismo, degna chiusura di un lavoro primo che – se abbisogna di svariate messe in moto prima di gustarlo fino in fondo – poi a regime d’ascolto ne apprezzi il “candido fuliggine” del quale è vestito.
Max Sannella