La poliedrica musicista e cantautrice americana Joan As Police Woman (al secolo Joan Wasser, moglie all’epoca di Jeff Buckley) ha pubblicato per PIAS il suo decimo album Lemons, Limes & Orchids. che corona la sua attività discografica personale. Il disco parla di amore e perdita, un tributo alla resistenza, e alla resilienza, con un’attenzione particolare a fare i conti con il collasso e il disorientamento collettivo. In particolare di disorientamento collettivo parla il singolo Long For Ruin, nel quale la cantautrice vorrebbe raccontare la decadenza dell’umanità attuale e la sua lontananza dall’essenza che appunto dovrebbe costituire l’essere “humanum”.
Parlando delle origini e dell’ispirazione del brano, Joan As Police Woman ha dichiarato: “Questa canzone si riferisce all’apparentemente intenzionale allontanamento della razza umana da noi stessi. Lontano dal nostro interesse per l’ascolto, per la ricerca di punti in comune e di compassione, di comunicazione e di amore. Sembriamo intenzionati a distruggerci. Non sembriamo disposti a condividere le risorse. Sembra che ci siamo allontanati da noi stessi e, a nostra volta, gli uni dagli altri”.
Non si è invece mai allontanata dalla ricerca musicale che conta la cantautrice americana: definita da The Economist “una delle migliori musiciste del 21esimo secolo”, Joan Wasser in tre decenni di attività ha una lista di collaborazioni illustri a dir poco impressionante: si è esibita con e al fianco di luminari come Lou Reed, Rufus Wainwright, Damon Albarn, John Cale, Laurie Anderson, David Sylvian, Sufjan Stevens, Anohni, Beck, Toshi Reagon, Hal Willner, Beck, Afel Bocoum, Meshell Ndegeocello, Sparklehorse, Aldous Harding, Woodkid, Justin Vivian Bond, RZA, Norah Jones, Lau, Doveman, Steven Bernstein, Gorillaz, Iggy Pop, Nathan Larson, David Byrne e Daniel Johnston. E ovviamente il compianto Jeff Buckley, che lei ha affettuosamente definito la sua anima gemella. Ha pubblicato due album di cover fra cui pezzi di Bowie, Hendrix, Iggy Pop, Sonic Youth and even Britney Spears.
Il disco precedente ha ricevuto Thom Yorke dei Radiohead e un invito a suonare all’All Points East Festival con Nick Cave & The Bad Seeds. Mentre all’inizio di quest’anno, Joan si è unita alla band di Iggy Pop in tour come tastierista e cantante di sottofondo. E in ottobre intraprenderà un tour europeo da protagonista che la vedrà suonare alla Union Chapel di Londra il 9 ottobre e al Santeria di Milano il 17 ottobre. Come se non bastasse, quando non è in tournée e non registra, Joan insegna anche al prestigioso Clive Davis Institute of Recorded Music della New York University.
Anche per questo disco Joan non ha lesinato collaborazioni illustri: l’album si avvale del leggendario e vincitore del GRAMMY Award Meshell Ndegeocello al basso, Chris Bruce (Seal, Trevor Horn, Alanis Morisette) alla chitarra, Daniel Mintseris (St. Vincent, David Byrne, Elvis Costello & The Imposters) alle tastiere mentre Parker Kindred (Jeff Buckley, Liam Gallagher) e Otto Hauser si alternano alla batteria.
Il nuovo album, che più di altri fotografa la grande capacità metamorfica e sperimentale di Joan, la vede avventurarsi più a fondo nelle sue influenze jazz con non pochi momenti ambient, che sono un tocco inedito anche per lei che è artista ormai di decennale carriera. Parlando del nuovo album, Joan ha dichiarato: “Ero pronta a fare un album che mettesse veramente in risalto la mia voce. Le basi sono state registrate come una volta, con me che cantavo dal vivo insieme alla band. Una mia cara amica mi ha detto che questo è l’album più sexy che abbia mai fatto. Onestamente, credo che abbia ragione”.
Sexy e suadente è sicuramente la musica di questo disco, dai toni soffusi nelle prime canzoni. Il disco però riserva tantissime altre sorprese: Full time Heist e Back Again, anzitutto, che viaggiano tra soul e jazz, o With Hope in my Breath, in cui emerge tutto il suo potenziale vocale di interpretazione, per parlare “dell’inizio di una storia d’amore. La canzona parla dello svegliarsi sperando che non sia tutto un sogno, e di come il sentimento i speranza riempie il corpo i una persona, il suo respiro, la sua pelle, gli occhi, la mente e persino il suo vestire”, mentre quasi classica, tutta al piano e contrabbasso, è Started Off Free, una canzone che per l’autrice ricorda “che di base io non ho controllo su nulla. E’ una canzone d’amore che riconosce che l’amore è un suo proprio animale con bisogni e e desideri e è libero, con o senza la mia benedizione.
La poliedricità caratteristica di Joan emerge poi in pezzi come The Dream (più che altro un bozzetto introduttivo al isco) e Remember the Voice, entrambi elettronici, anche se soffusi. Molto swing con vocalizzazione tutta soul è Oh Joan, giocata su un ritornello martellante, mentre un puro e completo componimento jazz è Tribute to Holding On, che conduce a uno dei pezzi più alti e intensi del disco, una sorte di ode alla sua città natale, NYC, Lemons, Limes and Orchids.
Ritmi di certo non elevati, anche per le due canzoni conclusive Safe to Say e Help on its Way, per questo disco che è il meno rockettaro e frizzante nella discografia di Joan, ma anche uno dei più intensi, complessi e strutturati della sua carriera, benché le canzoni emergano da una apparente semplicità. E’ un disco che si gode tutto d’un fiato, in sensazione rilassata, come lo sono molte delle atmosfere musicali e vocali che Joan cerca di comunicare all’ascoltatore. Su tutte le sfumature, le atmosfere, il grande lavoro orchestrale degli strumenti, prevale qui però in maniera preponderante la ricerca vocale, la volontà di fare della sua bellissima voce jazz la protagonista assoluta di questo lavoro.
E Joan ci riesce perfettamente, senza dover abbandonare il suo stile che l’ha resa famosa, in un mondo musicale prevalentemente al maschile, fra i grandi songwriter di questi decenni
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