Che teneri. Il figlio legge “I tre moschettieri” alla anziana madre (che, senza offesa, ha più rughe di una testuggine delle Galapagos. Ma è una maschera possente). Che servizievole. Lui le rimbocca le coperte e il mattino dopo va a farle la spesa. Ma l’idillio si rompe subito. Si capisce dal conto in rosso del pizzicagnolo: i due più che madre figlio sono due complici disperati. Vedova e zitellone. Un bell’incipit e una storia sulla terza età che riflette sull’abbandono “morale” degli anziani nell’epoca dei nuovi mostri. I figli, cresciuti nello spregio più totale degli ospizi, oggi parcheggiano i genitori alle badanti dell’Est, gonfiandole di quattrini e mettendosi la coscienza a posto. Meglio del passato, intendiamoci.
Ma l’abile Di Gregorio intuisce la “frode” con semplice potenza girando intorno alla tiepida quanto profonda solitudine, probabilmente ineluttabile, che accompagna i vecchi tornati per forza di cose bambini. Delicato, ma con finale rattrappito dalla parabola del figliolo avido. Anzi umano, troppo umano. L’attore protagonista, Di Gregorio, è anche regista del film oltre ad essere noto negli ambienti per l’exploit (con Braucci e Gaudiosi) per la sceneggiatura di Gomorra. Altro colegamento col film “da Oscar”: il produttore dell’ottimo “pranzo” è Matteo Garrone.
Autore: Alessandro Chetta