Descrivere o raccontare i cinque giorni di Berlin Atonal è una missione piuttosto complicata, per un motivo chiarissimo: se non lo si vive davvero non lo si può capire.
Non è una partecipazione al classico festival, questo è il vero Festival che racchiude tutti i requisiti e gli ingredienti necessari, curato nei minimi dettagli e particolari, oltre alla presenza influenzante di un pubblico di altissima qualità.
In città non si fa altro che pensare all’evento, a quella lunga attesa giornaliera che ti accompagna con la consapevolezza di trascorrere esperienze memorabili.
Aria estiva ma allo stesso tempo iniziano ad emergere la prime sfumature autunnali; clima perfetto per vivere quella sensazione di beatitudine all’interno del vasto spazio della Kraftwerk che con la sua maestosità industriale e la sua storia si adatta perfettamente al flusso di suoni che giocano in corrispondenza con l’ambiente circostante. La fine di agosto a Berlino è il periodo giusto per ascoltare e apprezzare quella visione sperimentale del suono tra musica, arte ed esperienze multisensoriali che riesce a regalare solo l’Atonal.
Il Main Stage e lo Stage Null sono le sedi principali della rassegna e dove si assiste a qualcosa di veramente incredibile; in questi due stage sono presentati live-set e performance audiovisive di grandissima rilevanza localizzati tra l’interno dell’edificio stesso o in alcuni spazi dall’architettura fortemente industriale dove si possono da subito apprezzare proiezioni e installazioni di sound-designer e giovani artisti emergenti.
All’interno della gigantesca centrale elettrica albergano anche le restanti tre aree: il notissimo Tresor, l’Ohm e il Globus.
Durante le scorse edizioni si annunciavano artisti di grande spessore e altrettanto è stato quest’anno, con una line-up innovativa e di qualità, comunicata a “sequenza” nelle settimane precedenti il festival.
Autore: Crescenzo Di Vano
Foto: Helge Mundt
L’apertura della rassegna avviene allo Stage Null con una performance in prima serata di David Morley: forte innovazione nella sua elettronica ambientale, punto di riferimento di tanti musicisti contemporanei.
Quest’anno il pubblico ha assistito ad anteprime di grandissimo coinvolgimento.
Di ampio rilievo e impressione la presentazione al Main Stage del nuovo progetto Ephemeral diretto dalla giovane artista danese Astride Sonne insieme a Xenia Xamanek, Andrea Novel e Henriette Motzfeldt.
Altrettanto stimolante la recente realizzazione di Lucrezia Dalt – “Synclines” – l’ingegnere geotecnico si è basata su nuove sperimentazioni musicali, coniando un viaggio con il suo suono corporeo che riflette sulle pieghe di paesaggi e sull’attrito della tettonica.
L’artista audiovisivo australiano Robin Fox ha presentato “Single Origin”, un concerto-laser basato sulla sincronizzazione dell’elettricità sonora e visiva nello spazio 3D iper-amplificato.
Tantissimi apprezzamenti anche per la giovane Klara Lewis con un live A/V di grande spessore che lascia intravedere una buona visione musicale con lunghi tappeti ipnotici che ci hanno accompagnato fino all’esibizione successiva di Cura Machines, sound designer americano in performance insieme al noto artista visivo austriaco Rainer Kohlberger che con i suoi grafici generati algoritmicamente crea una fusione perfetta con l’immersione euforica di Daniel Lea.
Grande interesse e curiosità in questa edizione hanno riscosso i due produttori Kangding Ray e Sigha in collaborazione per il loro primo spettacolo dal vivo a nome Neon Chambers, progetto audiovisivo all’insegna della vera elettronica sperimentale contemporanea seguiti subito dopo dalla performance dallo stile inconfondibile di Lanark Artefax, artista di Glasgow che disegna un live A/V con complesse sfumature dalle sonorità IDM.
Quest’anno il festival ha ospitato due italiani del marchio di scuderia Mannequin Records: Alessandro Adriani fondatore della label di base a Berlino, presentatosi sul palco con il suo spettacolare live A/V e l’ottimo set audiovisivo di Phantom Love, entrambi si sono esibiti sul prestigioso Stage Null.
Grande attesa per il ritorno dopo una lunga assenza sul suolo tedesco del francese Le Syndicat Electronique, con uno show decisamente più “marziano” del solito, eppure la sua performance resta semplicemente straordinaria.
Molto apprezzato anche il live della giovane artista svizzera Martina Lussi, la musica dell’autrice d’oltralpe rappresenta un collegamento seriamente riuscito tra suono e spazio, facendo leva sia su fattori fisici sia psicologici. – Leggi l’intervista su Freak Out Magazine QUI –
Altro artista italiano in cartellone è stato il produttore techno Chevel, nome d’arte di Dario Tronchin con il suo live “trans-fissiante” e ipnotico.
Restando sempre in scena techno, da segnalare l’attesissimo live dei British Murder Boys, duo britannico composto da Surgeon e Regis in un live set con marchio di tecnologia industriale, ritmicamente complesso e che predilige una techno/elettronica di altissima qualità sonora, a nostro giudizio, una delle migliori performance del festival.
Quest’anno ricorre un evento molto importante: i 25 anni della Downwards Records, vetrina di un certo rispetto fondata dallo stesso Regis che ha quindi selezionato per l’Atonal una lista di nomi appartenenti alla label britannica: Layne, Ora Iso, Giant Swan, tutti live-set stilisticamente congiunti, basati sulla costruzione di suoni e atmosfere uniche e inconfondibili con prospettive sonore ricche di bassissime frequenze.
Sorprendente e affascinante è stato il b2b tra il giapponese ENA e il tedesco Felix K, il dj set si è svolto nello stage dell’Ohm e i due artisti hanno espresso la loro visione musicale con un atmosferica drum and bass di manifattura eccelsa.
Oltre al nuovo progetto Neon Chambers, abbiamo assistito al dj set individuale del produttore inglese Sigha in un aftershow al Tresor, seguito in successione dal Dj danese Courtesy e l’electro acid aggressiva di Helena Hauff sempre nel medesimo club.
Nell’imponente Stage Null altra spasmodica attesa per la primissima occasione dal vivo della nuova interessante collaborazione tra i due svedesi Peder Mannerfelt e Pär Grindvik che con il neonato progetto Aasthama hanno poi ripagato il pubblico con un live davvero interessante e di grande spessore, un set particolare nello stile musicale e non solo…
L’ultimo giorno di festival si apre allo Stage Null con la proiezione del documentario “Bridge” di Nagasaki, ricostruito recentemente e arricchito in questa circostanza dalla componente musicale di ENA, pseudonimo del produttore giapponese Yu Asaeda.
Quarta italiana partecipe quest’anno sul palco dell’Atonal è la compositrice di base a Berlino, Caterina Barbieri con un suo intrigante live analogico potenziato dal lavoro video dell’artista Ruben Spini.
Grande illuminazione anche per il live The Trascendence Orchestra che vede in partenariato Daniel Bean con l’infinito Antony Child aka Surgeon, sicuramente una delle migliori performance dell’ultimo giorno.
Quest’anno è stata un edizione interessante nonostante la grande curiosità sull’aspetto artistico che inaspettatamente ha messo in evidenza tantissimi artisti emergenti.
Nella musica è giusto mettere in atto la critica, ma d’altra parte la critica rimane pur sempre fine a se stessa, quindi non altro che un pensiero soggettivo: abbiamo sinceramente assistito a tanta qualità musicale. Effetto Atonal? Il festival ha un percorso musicale completo, lineare e attinente agli ambienti creati dallo stesso, trasmettendo un qualcosa di particolare, trascendentale che si può vivere solo lì, in quella situazione e in quel determinato contesto.
Una cosa è certa, questo manifesto elettronico colpisce interiormente i partecipanti e non solo, metterei soprattutto in evidenza gli artisti stessi, trasmettendo quella energia positiva che non fa altro che far nascere il desiderio di una nuova presenza alla prossima edizione.
Il Berlin Atonal è un appuntamento che va seguito, presenziato, ti cambia la visione.