Intorno ai Band of Horses in questi anni si è creato un vero culto e con esso molte aspettative.
La militanza di Matt Brooke e Ben Bridwell nei Carissa’s Wierd, uno dei gruppi più originali, quanto trascurati, nati dalle parti di Seattle a metà degli anni ’90.
La loro reinterpretazione del folk in chiave alternative in un pugno di album di struggente bellezza e di coinvolgimento emotivo. Lo scioglimento del gruppo, avvenuto a fine 2003 e la nascita dei Band of Horses da parte di Matt Brooke e Ben Bridwell affiancati da Tim Meinig e Chris Early.
Il debutto di Everything All The Time (2006), un lavoro accolto unanimemente come una pietra miliare del panorama indipendente per il quale si sono sprecati gli accostamenti illustri dal Neil Young più elettrico e ruvido fino ai Wilco di Jeff Tweedy.
Una vera esplosione di vita rispetto alle atmosfere rarefatte nelle quali erano immersi i Carissa’s. Un rock dai toni agrodolci dalla grande carica struggente, con brani brevi che infiammano, impastati dalla voce potente di Bridwell e dalle cavalcate chitarristiche a volte elettriche, a volte malinconiche di Brooke (The Funeral, Wicked Girl, The Great Salt Lake, The Weed Party).
Brani nei quali coesistono tradizione americana e cultura alternative, l’attitudine ruvida e istintiva, assimilata dall’aria grunge di Seattle, alla ricerca della melodia. Grazie a tutto ciò la Band riesce a guadagnare quella visibilità di pubblico e critica, che molti altri gruppi indie non hanno mai avuto.
Tuttavia non vi è neanche il tempo di godersi il successo che Brooke, successivamente all’entrata di Joe Arnone nel febbraio del 2006, abbandona il gruppo per dare vita ai Grand Archives.
Si arriva così alla pubblicazione del secondo album per ribadire le promettenti impressioni suscitate dall’esordio e fugare i dubbi legati all’assenza di uno dei fondatori. Cease To Begin (2008) è un lavoro onesto, bello ma altalenante con un pugno di brani sopra la media (The General Specific, Marry Song, Cigarettes Wedding Bands, Window Blues), ma senza raggiungere la stessa intensità ed ispirazione.
L’album riesce comunque nell’intento di confermare la Band dei Cavalli presso il suo pubblico soprattutto ai grandi mezzi vocali del suo leader, tanto che il suo ex partner si è sentito in dovere di dichiarare in un intervista: < <Mi sento un po’ a disagio. Forse i Carissa’s Wierd lo hanno limitato, tutto questo tempo. Ne sono estremamente fiero. Ha preso in mano il gioco e l’ha condotto, fino in fondo. In un momento in cui eravamo tutti a terra, lui si è tirato su – più in alto di quanto chiunque di noi potesse pensare. E’ come vedere il tuo fratellino sbocciare>>.
Passano due anni e si arriva a così a Infinite Arms che fotografa il gruppo in una vera e propria fase di transizione.
Si è rinnovata radicalmente la line up del gruppo ora composta da Ben Bridwell, Ryan Monroe (tastiere), Tyler Ramsey (chitarra e voce), Bill Reynolds (basso) e Creighton Barret (batteria). Il passaggio dalla Sub Pop ad una major come la Columbia.
Un momento di transizione di cui si trova traccia anche nelle parole di Bridwell per il quale questo è il primo disco che sancisce definitivamente il distacco da Brooke e di conseguenza il primo vero disco dei Band Of Horses.
Nel rock tuttavia i momenti di transizione sono portatori, più che di creatività, di incertezza. Infinite Arms è infatti un disco schizofrenico e confuso, con alcune cose buone e idee non perfettamente calibrate. Si inizia con l’enfasi zuccherosa di Factory con gli arrangiamenti orchestrali troppo pomposi che contrastano con l’aspetto di giovanotti barbuti e le camicie a scacchi. Si prosegue giocando, non senza malizia, con il motivo e il ritornello roboante di Compliments, che riporta agli anni ’70. Laredo è un brano semplice e schietto, tra gli episodi più marcatamente rock del disco. On My Way Back Home è una bella ballata. Evening Kitchen, Dilly, Infinite Arms, Blue Beard, For Annabelle, Neighbor sono brani anonimi ed impalpabili, pensati per strizzare l’occhio ad un pubblico più vasto e guadagnare passaggi sulle radio mainstream. Older è uno sconclusionato brano folk come NW Apt. lo è dal lato più rock…
La sensazione più immediata trasmessa dall’ascolto di Infinite Arms è quella di un lavoro di basso profilo, senza una direzione se non quella della ricerca di una dimensione commerciale.
Per una band che aveva saputo incarnare in modo sanguigno i diversi stimoli dell’indie rock è anche poco definire come sconclusionato e deludente questo capitolo.
la tracklist:
Factory
Compliments
Laredo
Blue Beard
On My Way Back Home
Infinite Arms
Dilly
Evening Kitchen
Older
For Annabelle
NW Apt.
Neighbor
Autore: Alfredo Amodeo
www.bandofhorses.com