Seguo già da un po’ Agnes Obel, non potevo quindi perdermi il suo concerto all’Alcatraz di Milano, dopo la cancellazione di una precedente data lo scorso novembre al teatro Martinitt.
La trentatreenne pianista danese era in questi giorni in tour in Italia per 3 appuntamenti in cui presentare “Aventine“, il seguito del fortunato “Philarmonics”, album di debutto del 2010, premiatissimo nel nord Europa.
Per l’occasione l’Alcatraz, noto locale milanese, è stato trasformato in una platea con posti a sedere per godere meglio delle atmosfere intimistiche della cantautrice danese.
Preceduta dalla cantante/flautista Melanie De Biasio, che mi ha un po’ annoiato con le sue atmosfere jazz retrò e una bella voce bassa usata però in modo alquanto monocorde, Agnes si presenta sul palco in nero, sedendosi subito al bellissimo pianoforte a coda, accompagnata da due bravissime musiciste, Charlotte al violoncello e Mika al violino.
Il suono a tre risulta perfetto per tutta l’ora e un quarto dello spettacolo, anche perché le ragazze sanno creare armonie vocali calde e puntuali, e insieme sono abili nello sfruttare al massimo l’intensità dei loro strumenti.
E si inizia con un brano strumentale da Aventine, “Chord left“, che rimanda a Debussy e a una musica notturna da camera, sonorità di cui Agnes è maestra.
La carrellata di brani a seguire, tutti tratti da “Aventine” e “Philarmonics”, sollecitano le emozioni dei presenti, in rispettoso silenzio – una rarità ai concerti italiani – e rivelano una Agnes dalla voce in forma ma dalla personalità un po’ algida, anche se in vena di confidenze.
Come quando ci rivela che il brano “Wallflower” (da “Philarmonics”) scritto a 17 anni, la imbarazza tanto quanto lo farebbe la scoperta di un diario adolescenziale in cantina, tant’è vero che promette che questa sarà una delle ultime volte in cui la suonerà. Seguono i meravigliosi pezzi di “Aventine”, come il singolo “The curse” suonato magistralmente fino a un finale in crescendo con piano, violino e violocello sostenuti da delay e feedback; oppure la magia del secondo singolo “Fuel to fire” che con i suoi coretti rimane un piccolo capolavoro che incrocia il pop alle atmosfere di una colonna sonora dark. E ancora “Dorian” (dietro il nome si cela in realtà tale Julian, a cui lei dedica il brano) che con le armonie semplici a tre accordi risulta tra i pezzi più “facili”. E la bellezza del brano “Aventine” (sì, proprio il colle romano) nel quale le corde del pianoforte vengono ricoperte dalla stessa pianista da un telo per rievocare le sonorità sorde e cupe della registrazione su disco.
E che brividi nei momenti più intensi, in cui la perfetta sintonia tra le 3 ragazze si esprime in una musica piena con risvolti quasi rock.
Il bis, richiamato a grandi applausi, ci regala un altro paio di brani – a scelta del pubblico – e un rivisitazione più allegra di una delle mie canzoni preferite di “Philarmonics”, “Close watch“.
Il ritornello di “Aventine” mi accompagna verso casa, ancora avvolta dalla magia tipica dello stato di sospensione dal tempo che la musica di Agnes mi evoca ad ogni ascolto.
autore: Odette Di Maio
foto: Andre Donghi