Il progetto Herself di Gioele Valenti era perso negli antri più reconditi della mia memoria, di quando trasmettevo in radio i brani dell’ottimo “God Is A Major” (Jestrai, 2006), davvero tanto tempo fa se solo penso che siano già passati dieci anni da quando ho chiuso la mia esperienza ventennale di curatore di programmi radiofonici.
Da allora avevo perso le tracce di Herself ma è bastato mettere sul giradischi questo suo sesto album, da pochi giorni pubblicato dalla Urtovox (altro nome un tempo familiare), per constatare quanto sia cresciuta la qualità compositiva del musicista palermitano, che in questo lungo periodo di assenza dalla mia frequentazione ha pubblicato altri cinque album, più un sesto in uscita in questi giorni, con il moniker di Juju.
Spoken Unsaid è un gioiello di pop psichedelico, tutto scritto, suonato, registrato e mixato da Gioele Valenti, composto da otto brani che catturano l’attenzione sin dalla traccia strumentale che lo apre: “Nostos Algos” è una nenia folk che spinge l’ascoltatore verso un mondo ben distante dalla modernità imperante e serve ad introdurre il singolo “My Pills” una delicata ballata che trasporta una delle sue influenze dichiarata, gli Eels, nei territori dei Pink Floyd più bucolici.
A seguire arriva una delle tracce più significative del disco, sebbene viene difficile sceglierne una al posto di un’altra. “San Francisco Bay” è una bella canzone d’amore che viaggia sulle coordinate sonore dei Flaming Lips più delicati con Valenti che modula il suo registro vocale sullo stesso timbro di Wayne Coyne realizzando un efficace esempio di come la psichedelia possa rivestire una canzone pop perfetta.
Pur essendo un album abbastanza uniforme nel suo incedere, la tracklist alterna episodi dal timbro più acustico ad altri che hanno un tiro più elettrico. Ecco dunque arrivare la delicata e romantica “Soul” a fare da contrasto con la successiva “We Were Friends” in cui emerge prepotentemente un’altra delle fonti d’ispirazione dischiarata: gli Sparklehorse che emergono prepotentemente non solo dal punto di vista musicale, ma anche dal tessuto lirico del brano. Potrebbe bastare questo per consegnare questo disco alle classifiche di fine anno ancora lontanissime, ma Gioele Valenti ha ancora dei gioielli da mostrare come la delicata ballata “Disaster Love” subito doppiata dalla meravigliosa “Sand” una canzone dall’incedere folk tutta giocata su atmosfere acustiche ed un croonig vocale altamente evocativo.
Il gran finale è tutto appannaggio della cavalcata elettrica di “TVdelica” in cui Herself si lancia in una invettiva contro il potere che viene amplificato dalla Tv che serve a spegnere i sogni e “Nutrire la massa per i soldi che pagano”. Un finale un po’ inaspettato di un album che sostanzialmente parla d’amore e rapporti interpersonali, ma che non stona affatto con una proposta di grande qualità e di ampio respiro internazionale come quella proposta Gioele Valenti.
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