Conosco i Miriam in Siberia da alcuni anni, ai tempi del loro primo EP omonimo ed autoprodotto anch’esso e fin dai loro inizi acerbi li ho sempre apprezzati. Innanzitutto per l’originalità del nome, che non si fa certo dimenticare, nonché per prodursi da soli, cosa che, coi tempi che corrono, denota il fatto che i ragazzi hanno coraggio e soprattutto, credono veramente in quello che fanno.
Ascoltando “Il suono del phon” si capisce immediatamente quanto la band sia cresciuta in questi ultimi tre anni.
Un plauso innanzitutto per la scelta del titolo, che rispecchia una vocazione musicale dalle influenze noise, oltre ad una menzione particolare che va al cantante Nando Puocci, che ha lavorato parecchio sulla voce, cui è riuscita a conferire un timbro sicuramente più profondo ed una maggiore estensione vocale, anche se, col tempo, sono certa che farà anche meglio distaccandosi completamente dalle influenze Verdeniane.
Se “Estate d’Ottobre” e “Tuono Buono” ricordano i Marlene Kuntz di
“Senza Peso” per la sperimentazione e la commistione di suoni, sia per il mordente che un ottimo giro di basso in perfetto accordo con la batteria, conferisce a “Tuono buono”, in “Non lo so” i nostri diventano quasi romantici, suonano a tratti leggeri e malinconici.
E poi “Il suono del phon”, che esordisce proprio con il rumore dell’asciugacapelli, con un testo molto genere Bugo ma eseguito con la bravura di un Max Gazzè degli esordi.
Notevole è anche la sintonia che c’è tra tutti gli strumenti, un feeling innato che rende il suono liscio e piacevole da ascoltare. Insomma, i Miriam in Siberia hanno
saputo sfruttare appieno il proprio potenziale, ed hanno continuato a studiare per migliorarsi, pur avendo sempre ricevuto ottime recensioni, facendo la differenza con tanti altri gruppi indie che si sono fossilizzati nel loro essere autoreferenziali.
La strada che hanno intrapreso è quella giusta, con la speranza che continuino a sperimentare e soprattutto a suonare, suonare e suonare.
Autore: Veronica Valli