La speranza della Cuba musicale si appiglia alla next generation. Lasciamoci alle spalle la allegra accolita di vecchietti che cantano e suonano in grande spolvero le canzoni della loro gioventù. Largo dunque alla seconda parte, spuria, di quell’happening dalle dimensioni planetarie che fu “Buena Vista Social Club”: tocca adesso ai giovani figli della Isla sfruttare al meglio la vetrina del film “The Sons of Cuba” (girato da German Kral, e prodotto da Wenders) che li ritrae nella marcia verso il successo. Il film è infatti un lungometraggio documentario che in-segue e “spia” le giovani promesse musicali dell’isola. “Mùsica Cubana” ne è il prodotto sonoro.
Attraverso i 13 brani, i neomaggiorenni si cimentano con gradualità: dalla festa più colorata alla serenata col corazon in mano, perseguendo e rinnovando il sentimento tradizionale, oppure strafacendo, nella maniera più goffa esprimibile. Figli degeneri allora? Sembrerebbe di sì, sentendoli intonare con enfasi degna di miglior causa “chicchirichì cantava el gallo” oppure sfornando i 4/4 più truzzi dei Caraibi (“Conga Conga”), imbruttiti da mitragliate di rap a salve. Hijos un po’ svampiti a cui il grande vecchio, Pio Leiva, raddrizza la schiena quando solfeggia rauco “Cuando ya no me quieras” in duetto con una carnale mujer.
Anche l’incipit languido è affidato allo stile cristallino/cristallizzato del “montunero de Cuba”: “Desvelo De Amor” fissa un’ideale prolusione lanciata ai nuovi talenti. Ma poi, tre tracce dopo, ecco il canto e le contorsioni degli mc in “Chiki Chaka”, attualizzato da breakbeat pecorecci stile aerobica da palestra (occidentale).
Le nuove leve si riscattano in parte strada facendo (“Negrito Bailador”), laddove impronte indelebili di calypso swingheggiante e vorticoso merengue prendono il sopravvento, in un maremoto tarantolare, aizzato – porque no? – da graditi fiumi di havanaclub.
Saranno famosi? Forse. Canale 5 è però – fortuna loro – lontano un oceano.
Autore: Sandro Chetta