“La campana di vetro” di Sylvia Plath
Casa editrice: Faber and Faber (versione original Mondadori (la traduzione italiana più recente)
Anno pubblicazione: 1963
N. pagine 206
Prezzo: € 9,50
Sylvia Plath è stata una poetessa molto prolifica, illuminata e sorprendentemente moderna per i suoi tempi, tanto che decise di pubblicare il suo unico romanzo, “La campana di vetro”, sotto lo pseudonimo di Victoria Lucas, quasi per mantenere una sorta di “distanza di sicurezza” tra lo scritto e la sua vita. Basta leggerlo per comprendere il significato più profondo di questa scelta. Si tratta, infatti, di un romanzo autobiografico, dove ogni singolo personaggio, dalla protagonista – Esther Greenwood – alla madre, dal fidanzato alle compagne del college sono perfettamente identificabili con le persone che hanno gravitato nella vita della scrittrice.
Data la violenza di alcuni tratti e la palese critica alla società americana del tempo, la scelta dell’autrice di attribuire a ciascuno un nome diverso può essere interpretata come un flebile tentativo di preservarne l’intimità agli occhi dei lettori.
Il romanzo comincia con la descrizione delle giornate di Esther a New York, dove si trova per svolgere un praticantato presso una prestigiosa rivista di moda, a dispetto delle aspirazioni della madre che voleva avviarla verso lo studio della stenografia e l’impiego da segretaria, l’unico lavoro ammissibile per una donna americana della buona borghesia degli anni ’50, che avrebbe dovuto dedicare più tempo alla famiglia che alla carriera. Esther, tuttavia, si rende conto ben presto di non avere nulla in comune con le altre praticanti, così vane e superficiali, e torna a nella sua città, Boston.
La notizie della mancata ammissione ad un corso estivo di scrittura costituisce la svolta negativa e avvia la protagonista alla fase cruciale della sua vita: già tendenzialmente depressa e con un marcato istinto suicida, Esther peggiora sensibilmente e viene internata in un ospedale psichiatrico. E’ in quel momento che cala su di lei la campana di vetro, che la separerà dal resto del mondo.
La sensazione di smarrimento e di solitudine, aggravata dalle cure inadeguate e dall’elettroshock, viene descritta con una precisione agghiacciante. Gli schemi terapeutici, rigidi e immutabili, scandiscono i mesi, gli anni e pesano come macigni sulle spalle di Esther che, alla fine, si rivela più forte, tanto da guadagnare il nulla osta per lasciare l’ospedale, riconquistando così la sua vita.
Nonostante i tratti cruenti del romanzo, Sylvia Plath è stata più clemente con Esther che con se stessa. Un mese dopo la pubblicazione del romanzo, infatti, si è suicidata. Aveva da poco compiuto trent’anni.
http://www.sylviaplath.altervista.org/index.html
autore: Flavia Vitale