Da poco uscito il loro terzo disco, intitolato ‘Entanglements’, su Tomlab rec., e già sulla bocca di molti grazie soprattutto all’efficace tournèe europea del 2007 in cui si fecero notare prima di tutto con le canzoni, certo, ma anche con le eccentriche performance sul palco (e, spesso, giù dal palco) del cantante Zac Pennington, i Parenthetical Girls di Portland, Usa, qui a Napoli suonano stasera nel piccolo ma accogliente Cellar Theory, sulla collina di San Martino. Saletta piena, ad occhio e croce 300 persone – molti fumano e non si potrebbe –
per un’esibizione che, come sempre quando c’è Wakeupandream che organizza, comincia presto, almeno per gli standard cittadini: alle 22.40.
Subito è chiaro che il pop della band ha forti componenti ‘arty’, postmoderne, sognanti, e tra il pubblico, affianco a me, c’è anche qualche spettatore che non capisce, che non apprezza, e pensa sia uno scherzo quel modo di cantare lirico, ma sul filo della stonatura, su musiche imprevedibili ed inconsistenti, con le due tastiere e gli effetti che ricamano sinfoniette glitch pop psichedeliche ma anche ariose, ed una batteria invece a tenere la rotta del ritmo. C’è anche il ricorso a strumenti giocattolo, come campanella, pianica a soffio, piccoli glockenspiel. E’ un successo, l’esibizione, durata in verità soltanto 65 minuti, con i musicisti Matt Carlson, Eddy Crichton e Rachael Jensen – giovani, circa 22 anni a testa – a supportare uno show nello show: l’esibizione del cantante Zac Pennington, che mentre canta si muove di continuo, in preda a visioni ed emozioni sue, in maniera teatrale, divertente – lui per primo dirà spesso al microfono: “grazie, mi sto divertendo tanto, qui con voi” – e quando si rende conto che dalle ultime file non riescono a veder bene queste sue mosse simpaticamente fru fru, invita tutti a sedersi sul pavimento, per liberare la visuale agli ultimi. Poi scopre che in sala ci sono dei faretti, lungo i muri, e che può snodarli, indirizzarli, accendere e spegnere con gli interruttori, così iniziano le sue passeggiate tra il pubblico, per ricavarsi degli angolini giù dal palco in cui – sempre mentre canta! – si organizza da solo l’illuminazione e continua la personale performance visionaria mentre, tra il pubblico, cinque o sei fotografi molto attrezzati, con relativi aiutanti al seguito, scattano flash ad un ritmo anche fastidioso, e la band continua a suonare, laggiù sul palco, un po’ dimenticata.
Qualche canzone più pop, soprattutto ‘The Weight she Fell Under’ dal disco ‘Safe as Houses’ (2006), ma anche la bandistica ‘Unmentionables’ dal disco nuovo, dal vivo diventano veramente commuoventi, come solo Xiu Xiu, Mercury Rev o Antony and the Johnsons, mentre il resto del concerto la maggior parte delle loro composizioni, è più avant pop, qualche volta ancora un po’ acerba, come se i Liars avessero perduto la loro componente post punk, e suonassero pop music psichedelica modernissima. Alla fine del concerto, mentre esco, una sorprendente fila di ragazzi al banchetto dei CD, per acquistare il disco nuovo.
Autore: Fausto Turi
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