Lo ammetto, con un titolo così altisonante mi sarei aspettato un cd molto più esplosivo e scoppiettante, invece no, il chitarrista dei Mudhoney, qua alla sua seconda prova in solitario fuori dalla band madre, ha preferito andare più indietro dei generi citati nel titolo e affondare nel garage-beat, quello che impazzava nei primi anni ’60. Quindi ecco il largo uso di organi farfisa, con ben sedici brani, in soli trantaquattro minuti, quindi essenziali ed efficaci. D’altronde il chitarrista che ha gettato i semi del grunge, può permettersi di rileggere e reinterpretare il punk e la new wave a modo suo, dandogli il suo tocco personale. Piuttosto in diverse situazioni si diletta con richiami stomp-blues crampsiani (“Sex date Saturday night”) o con l’hard-blues sporco, come nel finale della pulsante “Somewhere I have some friends of mine”, mentre non rientra nei parametri di un rock molto schematico in “Cold city”. Per il resto tanto garage-beat, spesso intarsiato da un rock’n’roll circolare ed essenziale. Decisamente fuori dal coro la conclusiva “The end of the song”, unica canzone che si avvicina i cinque minuti di durata e caratterizzata da una ballata malinconica con una voce più calda ed intensa. Un lavoro che non aggiunge molto a ciò che si sente in circolazione, quanto ad innovazione, ma chi se ne frega, almeno per trentaquattro minuti si può ascoltare dell’ottimo e genuino rock senza fronzoli, d’altronde basta osservare la foto del libricino interno, che gli è stata scattata dal figlio. Superati i quarant’anni forse è questo il miglior modo di sentirsi legati alle radici del punk.
Autore: Vittorio Lannutti