Per il sottoscritto i Counting Crows sono sempre stati una questione prevalentemente di cuore, anche se col tempo sono emersi anche i lumi della ragione che mi hanno permesso analizzarne le vicende da una prospettiva più oggettiva. L’ultima occasione mi è stata data dall’imminente ritorno sulle scene con un nuovo disco che, ahimè, non è poi così tanto nuovo. Erano anni che si alimentavano dubbi sulla vena creativa del leader Adam Duritz, da sempre parco di nuove canzoni (cinque soli album di studio in quasi vent’anni di carriera); l’ultimo lp di inediti, quel “Saturday Nights And Sunday Mornings” datato 2008, veniva dopo sei anni in cui avevano pubblicato un live non indispensabile ed un inutile “Best Of”, ed infilava solo dieci canzoni in scaletta, molte delle quali scritte ai tempi di “Hard Candy” e del tour immediatamente successivo. Era forse il momento di far venire i nodi al pettine e capire che futuro avrebbe potuto avere la band dopo l’abbandono della major Geffen in favore di produzioni indipendenti.
“Underwater Sunshine” continua ad alimentare i dubbi di cui sopra, in quanto disco di cover che, se si conosce visceralmente la discografia dei singoli dei Crows, in buona parte hanno già visto la luce come lato b. La scelta della tracklist pesca a mani basse nella tradizione americana (Bob Dylan, Big Star, Fairport Convention) passando da band vicine a quella di Duritz e soci (Tender Mercies, Sordid Humor), finendo alla Scozia dei Travis e dei Teenage Fanclub. Al netto delle doverose premesse e dei legittimi dubbi, il disco è molto buono. L’estetica delle controparti originali non viene trasfigurata, preservandone l’atmosfera con un approccio scolastico, seppur impeccabile. Il che non deve essere letto come una critica, infatti le canzoni sembrano loro cucite addosso su misura. Duritz compie un passo indietro e si mette al servizio della band e non viceversa, come da sempre ci aveva abituato; il risultato è coerente e compatto, evitando di inciampare nella frammentarietà tipica di operazioni del genere.
Pochi fronzoli, i Counting Crows restituiscono l’immagine di una band esperta ed affiatata, che suona bene e cura i minimi particolari senza eccedere nella iperproduzione come in passato (Hard Candy). Di contro c’è la curiosità di vedere cosa sarebbe successo se Duritz avesse avuto la voglia di sporcare qualche foglio bianco con qualche nuova intuizione e la curiosità di capire se questa cosa accadrà in un futuro più o meno prossimo. La mossa di sganciarsi dalle “grinfie” di una major, almeno a detta loro, servirà per restituire al pubblico un’offerta più in linea con quelli che sono i meccanismi attuali del mercato discografico, fortemente influenzato da internet. Staremo a vedere, intanto ci accontentiamo di questo pugno abbondante di canzoni reinterpretate col piglio dei grandi. Resta da capire se questo sarà un nuovo inizio oppure l’inizio della fine.
Tracklist:
“Untitled (Love Song)” – The Romany Rye
“Start Again” – Teenage Fanclub
“Hospital” – Coby Brown
“Mercy” – Tender Mercies
“Meet On The Ledge” – Fairport Convention
“Like Teenage Gravity” – Kasey Anderson & The Honkies
“Amie” – Pure Prairie League
“Coming Around” – Travis
“Ooh La La” – The Faces
“All My Failures” – Dawes
“Return of the Grievous Angel” – Gram Parsons
“Four White Stallions” – Tender Mercies
“Jumping Jesus” – Sordid Humor
“You Ain’t Going Nowhere” – Bob Dylan
“The Ballad of El Goodo” – Big Star
Autore: Enrico Amendola
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