E’ da un po’ che la musica psichedelica va forte di nuovo, in America come in Giappone e in Europa, e basti pensare alla buona accoglienza ricevuta dagli ultimi album dei Warlocks – disco dell’anno 2007, secondo molte riviste rock specializzate – e poi Mars Volta, Brian Jonestowne Massacre, Earth, Boris e, perchè no, gli italiani Lento. Gli Human Bell di Baltimore, Maryland, pubblicano ora un CD d’esordio – che segue in realtà un Ep omonimo del 2006 – tutto strumentale, in cui è l’atmosfera rallentata, oppiacea e celebrale, a tener banco per 45 minuti. Dunque, con gli Human Bell, si rinnova la passione americana per il kraut rock e lo stoner semiacustico, con un lavoro in cui rivestono un ruolo centrale, decisivo, le chitarre elettriche, molto blues, dei leader Nathan Bell (ex Lungfish) e Dave Heumann (già con Bonnie “Prince” Billy e Papa M), accompagnati da un percussionisti e vari altri chitarristi, che incedono con le loro 6 corde, nei pezzi, fino a prendere il “doppio” ruolo solista, e vanno ricamando – seppure in maniera grezza, diretta, blues appunto anche nei suoni – degli assoli lenti e lancinanti, magari chissà, almeno in parte, frutto dell’improvvisazione in studio del momento. Il duo, che appunto dai cognomi dei due leader prende nome, tenta di calcare intenzionalmente, com’è tipico del folk psichedelico occulto, sulla ripetitività dei suoni jazz e post rock non distorti, e calca pure sul ritmo blando, su trame ambient asciutte ma tenute rigorosamente all’interno della formula rock blues, tentando di riproporre l’effetto immaginifico dell’ashish fumato intorno al fuoco nella notte, nei boschi, del vecchio ‘Paradieswartz’ degli Amon Düül, dei recenti ‘Burning off Impurities’ dei Grails o di ‘Rainy Days’ degli italiani Airportman. Ancora: gli Human Bell come versione semiacustica degli Sleep? Beh, si, anche questo paragone può calzare, poiché anche qui il paesaggio esterno è una sconfinata landa desolata, ed i nostri sensi sono alterati; manca l’elemento diabolico, rimpiazzato da quello pastorale, desertico, e loro stessi parlano del folk blues americano anteguerra come principale ispirazione, ribadita dal fatto che ‘Human Bell’ è stato registrato da Paul Oldham, fratello dell’eroe folk Will Oldham, e mixato da John McEntire a Chicago.
All’ascolto distratto il disco risulta anche noioso, inoltre talvolta si ha la sensazione che gli HB non sappiano esattamente che direzione dare al pezzo, in un’attesa infinita che poi si rivela magari “essere” il pezzo. Credo che il momento più cristallino del lavoro sia ‘Splendor and Concealment’, con i suoi 5 minuti per solo chitarra elettrica, tra arpeggi nudi e saliscendi blues pregevolissimi e angoscianti, o ‘Hanging from the Rafters’, 10 minuti rituali ed incalzanti, unica traccia d’insieme riuscita fino in fondo. Speciale menzione per il lavoro della tromba – per la verità poco percettibile – in ‘Ephphatha’, il cui titolo, estremamente psichedelico, in lingua aramaica – la lingua di Cristo… – significa “essere aperto, recettivo, come un portale”. Tra le amicizie ed i compagni di tour degli HB, ci sono alcuni nomi che possono aiutarci a comprendere la loro musica: Silver Jews, Bonnie Prince Billy, Joe Lally, Jackie-o Motherfucker, Wilco e Tara Jane O’Neil.
Autore: Fausto Turi