Fabrizio Fiorentino classe ’73 è un disegnatore di Torre del Greco che da anni lavora per il mercato fumettistico italiano e americano (GG Studio, Marvel, DC Comics e insegnate alla Scuola Internazionale di Comics di Napoli)) , disegnando autentiche icone come Batman, Superman, Hulk. In questa intervista si racconta a 360 gradi, offrendo ai suoi fan e ai cultori del fumetto uno spaccato di vita artistica, nonché un resoconto del grande sacrificio che serve per diventare ed essere disegnatori di fumetti.
Ci puoi descrivere come ti sei avvicinato al mondo del fumetto e i primi passi che hai fatto al suo interno?
Uno dei miei personaggi preferiti era ed è tutt’oggi Conan, che all’epoca era edito dalle edizioni Corno.
In particolare i disegni di John Buscema e Barry Windsor Smith mi catturavano come un bimbo davanti una vetrina piena di dolci.
Crescendo è aumentato in me l’interesse artistico per la figura umana e la sfida avvincente di poterla muovere e rielaborare a seconda delle esigenze artistiche del momento, utilizzando le tecniche del disegno, della pittura, dell’incisione piuttosto che della modellazione o della scultura. Poi ho realizzato che il fumetto sfruttava più di ogni altra forma d’arte il disegno anatomico e quindi potevo unire due enormi passioni in una.
I primi passi li ho fatti frequentando il corso della Scuola Internazionale di Comics di Roma venendo a contatto con una figura professionale di primo livello come Pino Rinaldi, il quale mi diede l’imprinting.
La mia prima esperienza come disegnatore è avvenuta con la pubblicazione di Dick Damon, un fumetto pubblicato dalla ormai più che defunta Fenix nel 1994. Acerbo ed inesperto approcciai al mondo professionale attraverso un genere, quello horror (o presunto tale) , che dopo non mi è capitato più di disegnare. In quegli anni, a differenza d’oggi, pullulavano le case editrici più disparate e c’era grande fermento di testate per cui non mi fu troppo difficile esordire sebbene il prodotto in questione non fosse dei migliori; per un giovane come me era abbastanza stimolante per intraprendere la prima esperienza di disegnatore.
Quali sono stati gli autori che ti hanno fatto innamorare del mondo delle nuvole parlanti e che ti hanno fatto decidere di dedicarti al disegno come professione?
Come già detto Buscema è di sicuro “l’imputato principe”, ma hanno contribuito e dovrebbero quindi assumersi le proprie responsabilità anche i grandi Neal Adams, Claudio Castellini, Frank Frazzetta, Mark Silvestri, Carlos Pacheco. In particolare quelli della “goldegn age” di stampo “americano”, ma anche i grandissimi Sergio Toppi, Claudio Villa, Paolo Eleuterio Serpieri etc…
All’inizio della tua carriera ti sei dedicato non soltanto ai fumetti, ma anche ad altre arti grafiche, a esempio la scultura. Quell’esperienza ti ha aiutato quando sei poi diventato un professionista della nona arte?
Credo che la scultura sia complementare al disegno e che l’una non possa prescindere dall’altra. La mia esperienza nella modellazione ha colmato ed arricchito la comprensione del volume e mi ha consegnato una consapevolezza della forma a “tutto tondo” che mi consente quindi una migliore gestione degli elementi disegnati.
Sei ormai impegnato nel mercato americano da una decina di anni, dal tuo esordio nel 2001 per la Crossgen. Ci puoi parlare di questa esperienza?
La reputo l’esperienza più importante e fortunata (dopo la doppia paternità) che mi sia mai capitata. Sono stato per circa 3 anni tra la Florida e l’Italia e l’esperienza diretta sul posto mi ha dato competenze professionali e una formazione soprattutto come “storyteller” che da nessuna parte avrei mai potuto avere, grazie alle “lezioni” avute da quello che reputo uno dei più grandi conoscitori di storytelling, Bart Sears. Inoltre ho potuto imparare la lingua e partecipare come professionista alle convention più importanti del mondo come quelle di Philadelphia, Orlando, Chicago e San Diego. Purtroppo però dopo anni di grossi investimenti la Crossgen ha fatto bancarotta lasciando a secco gran parte dei suoi dipendenti compreso il sottoscritto. Ciò nonostante ne benedico l’esistenza e l’opportunità che mi ha dato che poi è ciò che mi ha permesso successivamente di muovermi autonomamente nel mondo dei comics.
Dalla Crossgen alla Marvel il passo è stato breve, immagino. Sarà stata sicuramente emozionante per un disegnatore l’esordio alla casa delle idee. Quali sono state le difficoltà che hai incontrato ad entrare in una delle case editrice di fumetti più importanti del mondo?
Non è stato un passo poi così breve a dire il vero. Un passo lungo più di un anno e mezzo. Tanto mi ci è voluto per metabolizzare la delusione del dopo Crossgen e rimettere in ordine i pensieri. Infatti la difficoltà principale è stata proprio riprendere a disegnare dopo la brusca interruzione del contratto con la Crossgen, per le ragioni di cui sopra. In seguito ho trovato finalmente le giuste motivazioni per propormi a quella che fino a poco prima consideravo una meta irraggiungibile e con un po’ di fortuna e tanta incoscienza da parte di C.B. Cebulski, l’editor che per primo mi diede fiducia, ebbi la mia miniserie Marvel!
Il tuo lavoro più importante alla Marvel è stata sicuramente la mini di 5 numeri scritta da Paul Di Filippo e dedicata al Doc Samson, storico personaggio legato a doppio filo ad Hulk. Come ti sei trovato a lavorare con Di Filippo e come giudichi il risultato finale?
La parte più divertente del lavoro fatto su Doc Samson è stata quella inerente il suo “restyling” . In genere amo la fase del “character design” di un personaggio ma in questo caso il senso di responsabilità nel dover passare sotto il giudizio dei “visori” della Marvel mi “legava” un po’. Dopo le prime calorose approvazioni degli editors tutto prese ad andare più fluidamente ed oggi mi gratifica molto vedere Doc Samson disegnato da altri con le fattezze ed il costume creato da me. Riguardo al lavorare sugli script di Paul Di Filippo devo dire che la sua formazione di scrittore di “novels” si faceva sentire e a volte creava qualche incongruenza qua e là rispetto al linguaggio del fumetto che è cosa diversa da quello del romanzo. Le avvincenti idee del plot, tuttavia, compensavano qualche “lacuna”di sceneggiatura. Il risultato finale della mini mi ha lasciato un retrogusto amaro in quanto reputo il lavoro di china quanto meno “veloce”, nonostante le chine portassero la firma di uno come Jimmy Palmiotti.
Il ritorno nel Bel Paese è coinciso con Ethan?, miniserie edita dalla GG Studio dalla lunga gestazione. GG Studio è sicuramente un editore ambizioso il cui metodo di lavoro si avvicina molto a quello americano. Come ti sei trovato a collaborare con Giuliano Monni e il suo staff?
Considero quello fatto per il GG Studio uno dei lavori, se non addirittura l’unico, più rappresentativo delle mie potenzialità grafiche. Questo credo sia dovuto al fatto che per la prima volta ho potuto lavorare in grande autonomia, inventando personaggi totalmente da zero e sperimentando tecniche grafiche che per il mainstream americano per lo più è ritenuto un azzardo. Mi riferisco a tavole disegnate con matite sfumate in mezzi toni che conferiscono alle figure maggiore solidità e volumetria, tecnica che da scultore preferisco alla classica “lineart” che necessita dell’inchiostrazione finale. La collaborazione per questo “one shot” ha visto coinvolto ai colori uno dei migliori coloristi della scuderia del GG studio, Giuseppe Box Boccia e la supervisione di Giuliano Monni che si è interessato, come per tutti i prodotti che edita, dell’alta qualità di tutto l’iter produttivo fino al confezionamento finale.
In Ethan? si può notare il tuo amore per il fumetto americano, a partire dal tratteggio dei personaggi fino allo story board movimentato e poco rigido che è uno dei biglietti da visita del fumetto d’oltreoceano. Il tuo metodo di lavoro per realizzarlo si è avvicinato a quello con cui lavori per il mercato americano?
E’ un po’ il contrario a dire il vero, nel senso che è quello americano che prosegue un evoluzione stilistica cominciata in “Ethan?” che rappresenta il punto di partenza del mio nuovo esordio “grafico” negli States, dapprima in Marvel su Amazing Spider-man extra e poi subito dopo su Ink, una miniserie della DC del 2009. Come detto dopo Doc Samson e dopo un’altra miniserie fatta in DC , Forerunner, la mia autostima era un po’ in calo relativamente al fatto che trovavo il lavoro stampato sempre meno gratificante e questo l’ho imputato il più delle volte alla poco accuratezza di alcuni inchiostratori coi quali ho lavorato. Da qui la necessità di trovare un nuovo metodo che mi permettesse di cautelare il più possibile il disegno ai fini di una pubblicazione che apparisse più veritiera dei miei pregi e difetti grafici.
Cosa ci puoi raccontare dei tuoi prossimi progetti per Marvel o Dc? Si parla di pezzi pregiati come Spiderman, a sentire i rumors, vero?
Attualmente nulla di concreto. Sono in trattativa per diversi progetti con diverse case editoriali, ma soprattutto sento il bisogno di una nuova soluzione stilistica. Insomma presto cambierò nuovamente pelle per una nuova e spero più interessante evoluzione grafica. Magari presto potrò mostrare qualche anteprima ma per il momento lascio alla vostra immaginazione di che si possa trattare.
autore: Salvatore Cervasio