di Clint Eastwood, con Matt Damon, Morgan Freeman, Tony Kgoroge, Patrick Mofokeng
Come non ci piace il Clint Eastwood didattico. Invictus è impeccabile nella sua lineare scia sulla strada del Bene. Troppo lineare. E il fatto che sia tratto, diciamo così, da una storia amabilmente vera, mette in gabbia ogni tentativo “drammaturgico”. Il regista premio Oscar ci aveva stupefatti con l’acido cloridrico del reduce che lustra una Gran Torino in garage. Non è stato facile adesso, per gli innamorati persi di quel film, saltare in braccio al sorrisone di Morgan Freeman-Mandela.
L’attore è molto bravo però sembra uscito, come pure è stato scritto, da A spasso con Daisy. Il presidente sudafricano è un personaggio storico a dir poco straordinario, siamo d’accordo. Forse superiore a Gandhi. E nel caso specifico, il miracolo sportivo coincide con il miracolo di un paese. Difficile allora renderlo per immagini senza caricare ogni fotogramma di un invadente profumo d’incenso. Lo spettacolo – molto americano – della pellicola è tutto sul rettangolo verde: gli agilissimi bisonti verdeoro battono gli invincibili kiwi all blacks e iniziano davvero ad unire il Sudafrica, mischiando i colori (a giugno, dieci anni dopo, vedremo i frutti di quell’impresa “interculturale” ai mondaili di calcio). La poesia però manca. Ce n’è un grumo solo quando Clint riprende la cella di Robben Island, un buco di cemento per l’esilio in patria, per 30 anni (oh, trent’anni!), dell’uomo che, da invincibile, ha sconfitto l’apartheid.
Autore: Alessandro Chetta