Questo disco è uno di quelli che metto spesso su negli ultimi giorni, durante le sfide a pinacola con la mia fidanzata: il mazzo di carte, un bicchiere di vino e il tasto play a dare il via a “Grains”. Il che non vuol dire necessariamente che vi stia per parlare di “musica da tappezzeria”, visto che quando gioco a carte mi ascolto pure Miles Davis, Franco Battiato, Robert Wyatt, i Cure e tanto altro ancora…, sebbene effettivamente la materia downbeat trattata dal duo Peter Heider e Florian Seyberth tenda a scivolare in sottofondo molto più facilmente di quanto possa capitare con “On the corner” di Miles Davis o “Disintegration” dei Cure… Ma insomma, il dischetto in questione riesce a creare un’atmosfera confortevole, diciamo così, e qualche momento in grado di distrarti per un attimo dal tris che stai calando c’è pure, vedi ad esempio la title track, lo strumentale “Fuersattel”, i due episodi cantati dalla vocalist inglese Rumer.
La cosa veramente apprezzabile è la capacità dimostrata dai Boozoo Bajou di rimanere fedeli al loro stile (elettronica in bassa battuta, soffici echi dub, ingredienti jazz ed r’n’b ben amalgamati tra loro) senza ripetersi pedissequamente ed anzi spostando a piacimento l’angolo di osservazione sul loro universo sonoro, al punto che stavolta l’elemento centrale è rappresentato dal folk acustico (tra le fonti dichiarate d’ispirazione di “Grains” figurano Neil Young, Joni Mitchell e Jackson Browne), filtrato attraverso componenti digitali ed illuminato da caldi riverberi soul. Gli spunti ritmici e l’anima reggae-soul che animavano “Dust my broom” mi sembra che rendessero quel disco più sostanzioso e me lo fa tuttora preferire, ma le partite di pinacola, come detto, si susseguono piacevolmente anche grazie a “Grains”.
Autore: Guido Gambacorta