“Electa una via, non datur recursus ad alteram” recita il brocardo latino e l’atteso LP solista di Kim Deal, “Nobody Loves You More” (4D), non ottemperando allo stesso convince, ma solo a metà.
Per onestà intellettuale va, comunque, detto che “Nobody Loves You More” è sicuramente un buon lavoro discografico (e altrimenti non poteva essere visto che la Deal ha comunque contribuito, con i Pixies e con i The Breeders, a scrivere, tra gli anni ottanta e gli anni novanta, una parte importante della storia della musica) ma, per altrettanta onestà intellettuale, va anche detto che nel suo complesso il disco tradisce un’eccessiva disomogeneità e in alcuni momenti “sofisticazioni” che, sebbene ben strutturate, risultano pleonastiche.
Facciamo però un passo indietro, al 2013, quando la Deal a suo nome, dopo l’ottimo ed abrasivo singolo “Walking With A Killer/Dirty Hessians” del 2012 (si ripeterà nel 2014 con l’altrettanto convincente “Biker Gone”), pubblica il singolo “Are You Mine?”/“Wish I Was” , 7” dalle più morbide ma asciutte sonorità; ebbene entrambi i brani verranno ripresi in “Nobody Loves You More” rappresentando, così, un ponte con il passato che si spinge però verso un’ondivaga contemporaneità.
Messo il vinile sul piatto, “Nobody Loves You More” riassume in sé i (primi) pregi e i difetti denunciati; una buona scrittura cantautorale viene affogata da orchestrazioni che ne alterano il “sapore”, limite che si ripete nella (bella) “Coast” che, con i suoi fiati, lascerebbe presagire l’ascolto di un disco di cantautorato alt pop se non sopravvenisse la ruvida “Crystal Breath”, da club underground, a destabilizzare l’andamento dell’ascolto.
“Are You Mine?” è delicata ballata dal gusto psichedelico in stile east coast (purtroppo anch’essa appesantita da evitabili archi – si ascolti come confronto la versione del singolo).
“Disobedience” rialza i toni (per un brano riuscito) con i suoi cambi e la sua intensità: felice chiusura del Side A che si mostra però distante anni luce dalla sua apertura affidata a “Nobody Loves You More”.
Girato LP, l’altro singolo recuperato “Wish I Was” è anch’esso vestito di nostalgico amore verso le ballate psichedeliche made USA di fine anni sessanta; qui però, a differenza di “Are You Mine?”, non ci sono (fortunatamente) aggiunte invadenti a far danni ma una voce da apprezzare…
“Big Ben Bea” è violenta, cruda e energica con il suo spoken e il suo riff, è possente ma crea un’ancora più profonda frattura all’orecchio.
“Bats in the Afternoon Sky” è (trascurabile) intermezzo sperimentale, con una solo abbozzata felice intuizione di suoni destrutturati che avrebbero meritato maggior approfondimento.
In “Summerland” tornano le (discutibili) orchestrazioni, per un brano che ben si colloca nella scia di quello eponimo.
Se “Come Running” è ballata disturbata da scariche elettriche e dalle venature indie-folk, “A Good Time Pushed” si stabilizza su piacevoli sonorità “alternative” anni novanta.
Tolto il vinile dal piatto, ciò che resta è l’impressione di un’operazione di recupero di brani e di idee maturate nei decenni per una disomogeneità che “divide” e non “caratterizza”.
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