Tre anni dopo la loro prima volta a Napoli – era il Febbraio 2006 – tornano in città i Bachi da Pietra, il duo composto da Giambeppe Succi (voce, chitarra, basso; ex Madrigali Magri) e Bruno Dorella (batteria; OvO, Ronin, ex Wolfango, ex Bugo), per presentare il nuovo recente album intitolato ‘Tarlo Terzo’ (2008), pubblicato da Wallace rec.
Il piccolo locale napoletano è strapieno di gente, manca l’aria e la temperatura va alle stelle quasi subito; sorprende che moltissimi spettatori – ad occhio e croce 100 persone circa – conoscano già le nuove canzoni, nonché quelle dei precedenti dischi ‘Tornare nella Terra’ (2005) e ‘Non Io’ (2007): sintomi di un successo imprevedibile per un gruppo che propone un tipo di musica non certamente facile ed immediato. I Bachi da Pietra suonano un blues postmoderno, avanguardistico, con suoni che passano dal minimale, ad improvvise, rabbiose – e comunque rare – scariche prossime al noise, mentre il grosso della musica è scarno ed ambientale, ma sempre oscuro, minaccioso. Una formula originale, per la quale non è il caso di cercar paragoni; qualcuno in internet dice Slint, ma i Bachi sono diversi dal combo americano, e comunque molto meno elettrici. Canzoni coinvolgenti, ma non immediate; può essere disturbante ed irritante, infatti, seguire un concerto di Succi e Dorella, se non si sta sulla loro lunghezza d’onda, concentrati, sin dall’inizio. Le storie mormorate, trascinate pigramente da Succi al microfono, procedono per flash inquietanti, immagini che scorrono lente, come da telecamera, su ambienti immobili, tra esterni ed interni, come in un pianosequenza cinematografico che lascia intravedere tutto, ma non si ferma a lungo sui dettagli, alla caccia dei quali invece chi ascolta cerca di giungere mettendoci del proprio, affidandosi all’immaginazione.
Descrizioni di ambienti – ‘Per la Scala del Solaio’ ti porta letteralmente in un luogo polveroso – descrizioni di sensazioni – la vita, che poi è il ‘Mestiere che Paghi per Fare’ – storie di persone – il tossico di ‘I Suoi Brillanti Anni Ottanta’ – e di fatti – l’autodistruzione umana in ‘Fosforo Bianco Democratico’ – come se da un momento all’altro stia per accadere qualcosa di terribile ed efferato. Dorella, su una batteria ridotta all’osso, con solo tamburo, rullante ed un piatto – senza grancassa e charleston – suona con spazzole, bacchette e grossi coton fioc, ed anche coi polpastrelli, imponendo così a tutti d’ascoltare in silenzio, perché la musica dei Bachi da Pietra è fatta di rumori impercettibili da cogliere a fatica. Succi, mentre biascica con le labbra attaccate al microfono, fa risaltare anche il suo respiro, che è parte stessa della musica, ed inquieta ancor di più, mentre suona la chitarra elettrica come fosse una percussione, colpendola col palmo della mano, o con una bacchetta, sulla cassa o sulle corde. Un successo, stasera, qui a Napoli, con gli spettatori che alla fine, letteralmente blocano sul palco i due, per farli continuare a suonare.
Autore: Fausto Turi
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