Trascorsi cinque anni dal loro debutto (“Psyence fiction” del 1998, mentre questo “Never, never, land” è uscito lo scorso anno), gli Unkle non sono più gli stessi: Dj Shadow è fuoriuscito dal progetto e James Lavelle ha stretto un nuovo binomio artistico con il tuttofare Richard File, qui in veste di produttore, chitarrista e vocalist. Se prima i brani degli Unkle suonavano effettivamente come il parto di due teste pensanti (con Dj Shadow che spingeva decisamente in direzione hip-hop) adesso è difficile scorgere il contributo specifico dato al lavoro da Richard File e si è quindi portati a pensare che James Lavelle sia rimasto in verità l’unico padrone del suono degli Unkle. Il lavoro ne acquista in omogeneità (c’è un’apprezzabile visione d’insieme che mancava nella prima prova) ma mostra il suo lato debole proprio là dove eccelleva “Psyence fiction”, vale a dire nei singoli episodi: se in quel disco ci imbattevamo in almeno quattro pezzi memorabili (“Bloodstain”, “Lonely soul”, “Celestial annihilation” e “Rabbit in your headlight”) troppa acqua è passata nel frattempo sotto i ponti per pensare che oggi possano avere un simile impatto altrettanti brani di “Never, never, land”… Qui di veramente notevoli ci sono “In a state” – dove una tastiera gobliniana introduce uno splendido bolero elettronico sostenuto dalla cassa in quattro/quarti – e il trip acido di “Panik attack”, che ingloba al suo interno un ben riconoscibile campionamento da “She’s lost control” dei Joy Division. Poi tanti momenti buoni (l’atmosfera di “Inside”), quando non ottimi (la trama narrativa di “What are you to me?”), adombrati da qualche passaggio già sentito e ri-sentito (il climax alla Moby di “Eye for an eye” ad esempio).
Se il lavoro di produzione di James Lavelle resta comunque altamente sopra la media, è la consueta carrellata di ospiti illustri che non sempre soddisfa secondo le aspettative: francamente superflue le apparizioni di Brian Eno e di Jarvis Cocker dei Pulp in “I need something stronger”, delude pure l’onnipresente Josh Homme con “Safe in mind” (dove la chitarra è suonata da Troy De Van Leeuwan degli A Perfect Circle), mentre in “Invasion” 3D dei Massive Attack si accontenta di farci sentire cosa sarebbero stati i bagliori bianchi di “100th window” se sviluppati in chiave ritmica. Detto del cameo vocale regalato da Joel Cadbury dei South nella romantica “Glow”, la figura dell’ospite di riguardo la fa Ian Brown (già collaboratore degli Unkle nell’eccellente singolo del 1999 “Be there”), il quale insieme all’altro ex Stone Roses Mani valorizza a dovere le splendide orchestrazioni di “Reign”, una canzone persino troppo ambiziosa nel voler teorizzare una nuova idea di musica pop che ormai “nuova” non è, visto che, pur da punti di partenza diversi, queste identiche strade sono già state percorse nel passato recente dai Death in Vegas, dai Chemical Brothers e dagli stessi Unkle degli esordi.
Ma forse ho ecceduto con gli appunti critici e sto correndo il rischio di confondervi le idee… Chiarisco allora che personalmente mi aspettavo qualcosa di più ma che “Never, never, land” è senz’altro un disco da avere: da 1 a 10 (ma sì, per una volta do i voti anch’io) arriva a conquistarsi un bel 7… Se poi vorrete ignorare i soliti marziani che si affacciano in copertina e vi avvicinerete a questo lavoro senza l’esigenza di trovarvi dentro qualcosa di “futuristico”, o comunque di “innovativo” a tutti i costi, allora sarete liberi di alzare a vostro piacimento il voto appena espresso.
Autore: Guido Gambacorta