Prolifici, i genovesi Morose, al terzo disco in appena quattro anni. E dall’esordio per la label italiana Cane Andaluso datato 2003, cui seguì due anni dopo un disco su Suitside, il terzetto ha preso sicurezza in se stesso e calibrato le proprie capacità mettendo a fuoco l’obiettivo, che ora sembra più chiaro anche a noi. Molto interessante e ambiziosa la fraterna resa dei conti tra due mondi musicali diversi ma evidentemente compatibili come certo folk americano moderno e colto di Califone, Rachel’s, Morphine e certa ‘wave’ romantica europea di carattere anche letterario tipo i britannici Last Harbour o Matt Elliott. Tutto ciò e altro ancora – poi ognuno usa i nomi e le etichette che vuole, come sempre: slowcore, postrock, folk apocalittico, dark – si può ritrovare nell’ascolto di questo album, in cui la cura dei dettagli acustici – che c’è ed è forte – viene ad ogni modo superata dal desiderio di comunicare prima di tutto una sensazione intensa e drammatica che rimandi l’ascoltatore a sua volta ad altre emozioni proprie, e non importa – vivaddio! – che di momenti veramente pop ce ne siano pochini: sicuramente ‘Blessing in Disguise’, magari ‘Beginning of the End’; un feeling malinconico ma non oppressivo dunque, tenebroso già attraverso certi suoni scelti, e poi nei testi cantati in lingua inglese. Ma già dalla copertina si può intuire il carattere onirico delle 10 tracce di ‘On the Back of Each Day’.
Davide Speranza, Valerio Sartori e Pier Giorgio Storti, con chitarra acustica, clarino, tromba, campionamenti e tastiere – mancano le percussioni: questo è il grande cambiamento nella musica dei Morose dopo l’abbandono del vecchio batterista… – creano un mondo di suoni in chiaroscuro la cui integrità e purezza rischiano di trovare, nell’ascoltatore distratto, un ostacolo comunicativo, magari, causa la forma espressiva decadente, ma non direi pessimista come molti altri invece hanno scritto; disco molto curato, ad ogni modo, con alcuni momenti straordinari come ‘Rain Dance’ (molto Current 93) o ‘Beginning of the End’, non a caso nella prima metà del disco, che è la migliore. Prevedibile che alcune composizioni, sempre per carità in linea con la loro produzione, abbiano quel carattere apocalittico che in questo 2006 pare essere stella cometa del folk un po’ per tutti i gruppi; ma questa non è la sfaccettatura migliore dei Morose che, piuttosto che nei momenti minacciosi, secondo me danno il meglio di sè nelle languide ed eleganti composizioni pianistiche, in cui questa meravigliosa tastiera – l’apparecchio ‘ketron gp 10’ di Pier Giorgio Storti – incanta davvero.
Molti, da quello che leggo riguardo ad ‘On the Back of Each Day ‘, ne mettono in evidenza l’aspetto cupo, e parlano di un risvolto misantropico o addirittura di un pessimismo cosmico. Credo sia più corretto, come scrivevo, dire della grande malinconia, e della ricerca estetica approfondita dei Morose. Vero è che il trio mira diretto e dal principio – come ha spiegato in alcune interviste recenti – a questo tipo di sensazioni, e ciò sin dalla scelta del nome della band; leggiamo infatti sul loro sito internet: “In Italian slang, “Morose” means “girlfriend”. In English or French, a melancholic mood”.
Il disco è stato prodotto da Fabrizio Modenese Palumbo (Larsen, XXL), col supporto dei compagni d’etichetta In my Room. I Morose da alcuni mesi lo stanno promuovendo in giro per l’Europa: e dopo la lunga tournèe in Francia e Svizzera, il 10 Marzo i Morose saranno in Slovenia. Nel frattempo, potete vederli in Italia a: Mestre (VE) il 25.01.07, Roma il 15.02.07, Udine il 09.03.07 e Parma il 27.03.07
Autore: Fausto Turi