Le scene di sesso tra la nereide ionica (Finocchiaro, brava&bella) e il magistrato dalla barba spianata col tosaerba (Gifuni) mi ha ricordato “Ultimo tango a Parigi”. Alt, non sono impazzito, lo so che Maria Schneider e Brando sono icone sacre da mosaico normanno-bizantino. Però l’intenso groviglio “incestuoso” tra il boss e il pm la mente è corsa all’appartamento francese in cui Bertolucci fece tanto bene alla storia del cinema. Questo film, è chiaro, non studia da affresco interiore. L’amplesso cade nel finale, quando tutti non ci si aspetta niente altro che quello. Happy end per le ambizioni libidinose del giudice, (in)naturale refugium peccatorum della signora boss cornuta e mazziata. Tutto ruota intorno a questo. La vicenda di malavita che occupa gran parte della trama si autorelega ai margini. I galantuomini sono i ras e i pusher di quartiere ma anche i segugi della magistratura. La molla che tutto mòve però sono gli occhi piacioni della toga salentina che spinge – con piccole grandi attenzioni – la vecchia fiamma in trappola (sul divano). L’incesto tra “poteri” non è male ma può reggere da solo? Il racconto della Sacra corona unita, sezione Salento, non convince. Dopo Gomorra anche sul quel battutissimo filone bisogna metterci qualcosa in più, non bastano agguati, piste di coca. E sottotitoli.
Autore: Alessandro Chetta