L’elettronica densa, scura e profonda è il fondale su cui s’inserisce la voce di Gaika, sintonizzata su una tonalità bassa, con estensione minima, un effetto astratto quando si fa recitativa, vibrante quando vira verso la Giamaica, ed un senso di inquietudine industrial e di apocalisse imminente – i cupi videoclip pieni di guerriglieri, monaci incappucciati, edifici in rovina e riti cristiani… – a dispetto di un andamento musicale, ordinato ed orientato a conti fatti al dancehall.
Mentre anche l’ultimo Ununiform del 2017 del maestro Tricky naufraga nell’anonimato della crisi creativa, ecco che già Gaika, anch’egli inglese di origini giamaicane, si candida a raccoglierne in qualche modo l’eredità trip-hop con un taglio che egli stesso definisce “ghettofuturista”, sottolineandone così la provenienza suburbana, black, e l’aspirazione digitalista.
‘Hackers & Jackers‘ nel ritornello ci ricorda Marilyn Manson, ‘Seven Churches for St.Jude‘ e la sostenuta ‘Black Empire‘ tornano sui cupi ed inquietanti simbolismi cristiani, sulla guerra, le esecuzioni e l’apocalisse mentre in ‘Ruby‘ s’accenna lo stile trap su una sfavillante, buia trama digitale tra Portishead e Tricky, e la struttura monolitica come detto è resa interessante da sottili trame diciamo così etniche – ‘Close to the Root‘ – tutte concentrate in realtà nei risvolti reggae della voce di Gaika; nell’ultima parte del disco qualcosa cambia, almeno in parte si squarcia il plumbeo e stritolante fondale e la musica scorre più vibrante coi due singoli ‘Immigrant Sons‘, ancora con un filo di effetto vocale auto tune trap ed il chiaro taglio autobiografico che si intuisce già dal titolo, ed il coinvolgente dub ‘Crown & Key‘, alternati da lenti, bellissimi brani digitali minori dalla struttura lenta, atmosferica e indefinita.
Il gioco chiaroscurale complessivamente regge, magari logora ed angoscia un po’ troppo ma Basic Volume è senz’altro un disco importante del 2018 e Gaika una figura di sicuro talento pronta a decollare.
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autore: Fausto Turi