I primi a essere quanto meno sorpresi dalla notizia sono loro stessi, come comunicano sul sito ufficiale: per la prima volta in 26 anni di carriera, un disco dei Flaming Lips finisce nella top 10 di vendite in America. Hanno ceduto alle lusinghe del mercato e hanno fatto un disco pop, penserete voi. E invece no: “Embryonic” (doppio cd, 18 brani) è tra le cose meno “accessibili” che la band di Oklahoma c’abbia mai regalato. Un lungo viaggio lisergico, in cui i suoni sono saturati, riverberati, distorti fino al parossismo: il risultato è un fiume di magma rovente in cui gli strumenti si fondono fino a perdere le proprie connotazioni timbriche. Rock acidissimo, lasciato libero di fluire, sporcato di pesanti influssi kraut, eppure mai “vittima” di spinte auto-referenziali o di sperimentazioni fini a se stesse: la band non perde mai di vista il fattore emotivo, pur celando il proprio peculiare spirito pop sotto una “scorza” quanto mai ispida e apparentemente impenetrabile.
L’inizio del disco lascia senza fiato: “Convinced of the Hex” si muove su un ipnotico groove iper-distorto, con una fitta trama delirante di chitarre e suoni di imprecisata provenienza sullo sfondo a graffiarci le casse; “The Sparrow Looks Up At The Machine” immerge una melodia dolcissima in una lenta spirale di rumori, effetti, feedback, disturbi; “Evil”, semplicemente struggente (“I wish I could go back / Go back in time / But no one ever really can / Go back in time”), combina un’anima quasi soul, cori angelici e un tappeto sonoro fatto di poche, evanescenti note in loop.
Il disco riserva sorprese ad ogni angolo: “Powerless” è un lentissimo dub infernale con un lancinante assolo di chitarra tremolante, “Silver Trembling Hands” è puro pop à la Flaming Lips, con dei suoni liquidi che ricordano i primi Tortoise, “The Impulse” è un trip in assenza di gravità, con la voce di Wayne Coyne che riesce ad essere emozionante anche se filtrata dal vocoder. La sensazione di trovarsi in un’atmosfera spaziale è ricorrente (e sappiamo quanto la fantascienza e l’immaginario sci-fi in generale siano temi cari alla band), a tal punto da far pensare quasi ad un concept album (ascoltate “Virgo Self-Esteem Broadcast”, ad esempio, o la placida “Gemini Syringes”, con la voce del matematico Thorsten Wörmann), “I can be a frog” dà invece libero sfogo alla vena surreale della band (“She said I can be a frog / I can be a bat / I can be a bear / Or I can be a cat”), che ospita Karen O degli Yeah Yeah Yeahs, impegnata (dal telefono di casa sua) a far versi di animali. In “Worm Mountain”, una sorta di monolite psichedelico, troviamo invece come ospiti i MGMT (che onestamente non so cos’abbiano apportato al pezzo).
Chi pensava che con la maturità i Flaming Lips avessero finito per “normalizzarsi”, adagiandosi sul proprio status di abilissimi autori di pop adulto e ricercato, resterà a bocca aperta. Questi signori hanno saputo stupirci ancora una volta, dando una lezione di stile alle giovani leve di musicisti neo-psichedelici, confermando di essere semplicemente degli alieni. “Embryonic” è il capolavoro che non t’aspetti. Pura gioia per le nostre orecchie stanche di tanto appiattimento creativo.
Autore: Daniele Lama
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