Monochrome to Colours, il nono album di Ed Harcourt, compositore e musicista giunto subito agli allori con l’album di debutto Here Be Monsters del 2001, nominato per il Mercury Prize, sceglie come etichetta Point Of Departure, la stessa del precedente Beyond The End del 2018.
E’ dunque il secondo album di seguito solo strumentale, accompagnato per l’occasione da un video potente girato in Islanda con il suo fedele compagno fotografo e regista Steve Gullick. Il video di Drowing in Dreams sceglie visioni di neve, alberi e vuoto, tra cieli immensi: il giusto accompagnamento di immagine per la musica incredibilmente evocativa dei suoi pezzi.
Se First Light, Ascension e Drowing in Dreams, i primi tre componimenti, accompagnano subito l’ascoltatore nel mondo fatato e estatico del dream-pop post rock di Harcourt, i pezzi successivi, Her Blood Is Volcanic, Only The Darkness Smiles For You, Death Of The Siren preferiscono al trionfo dei vari strumenti il suono quasi totalizzante del pianoforte, che è in questo disco la cifra principale della ispirazione di Ed.
Ci sono infatti batteria, con Clive Deamer (già collaboratore di Radiohead e Roni Size) e Gita Langley al violino e Amy Langley agli arrangiamenti, e c’è un grande lavoro “di famiglia” presso lo studio privato nell’Oxfordshire (Gita è infatti la moglie di Ed e Amy la cognata), ma nella parte centrale del disco a farla da padrone è il piano, anzi diversi tipi di pianoforte, moderni e più antichi. E’ stato usato infatti anche un Hopkinson del 1910, e un dulcitono del 19simo secolo addirittura, che rivelano la passione di Harcourt per la musica classica.
“Il nuovo album ha un senso di esplosione e euforia in alcuni momenti. Una cosa fondamentale per me è la melodia. Sono cresciuto suonando Mozart e Beethoven e questo mi ha segnato”. Tuttavia il pianoforte che qui prevale non è mai essenziale o intimo ma sempre accompagnato ad altri strumenti per intensificarne la resa melodica, ed esaltarla in toni glorioso-epici. “Il disco precedente era piuttosto minimalista, molto malinconico, mentre il nuovo apre le sue braccia al mondo”.
L’uso di vecchi strumenti rotti è poi mixato con le tecnologie moderne, tanto che vi sono droni digitali e una emulazione al computer di un Hammond Novachord, un vecchio tipo di synth.
Insomma Ed si è davvero divertito lasciando esplodere i suoni, al punto da emulare anche colonne sonore, come nella title track finale, che ricorda per sua stessa ammissione Chariots of Fire dei mitici Vangelis.
“Ho scritto questa musica come se fosse per un film blockbuster di azione. Questa musica è totalmente visiva per me. Mi riempie la testa di immagini e idee. In Monochrome to Colours ho cercato di raggiungere un sentimento di morte e euforia contemporaneamente, come un alieno che ti trasporta su una nave spaziale ascendendo in un vortice di luce”.
Immaginifica, forse eccessiva, questa descrizione, ma così l’ascoltatore troverà anche il disco: a tratti retorico, nel suo essere altisonante, ma sempre pieno e melodico, tanto da ricordare le produzioni migliori dei Sigur Ros di una volta dal lato squisitamente musicale (Childhood, King Raman).
Un disco che per alcuni intensi tratti lascia il segno, anche se giocato con l’evidente volontà di colpire al primo ascolto attraverso il punto di forza di Harcourt, la capacità di inventare melodie di sicuro colpo.
autore: Francesco Postiglione