Un disco dei Low è come il miracolo del sangue di San Gennaro: sai che funzionerà, che si ripeterà. Non che ci si possa aspettare grandi cambiamenti dai Low, per fortuna!
Consueto effetto calmante, capacità di metterti in pace con la vita nonostante le sue magagne.
I Low non parlano di un mondo che funziona, semplicemente ti dicono che a volte è meglio aspettare, ascoltare, restare in silenzio e guardare quel puntino luminoso a mezz’aria prima che tutto si sgretoli.
La difficoltà di raccontare i rapporti e le relazioni umane, per i coniugi Sparhawk/Parker è ormai un esercizio letterario svolto con la solita strumentazione rock ridotta all’osso e tappeti ritmici elettronici elementari: il minimalismo che sfida l’eterno, l’innocenza che ritorna come unica arma da contrapporre all’ineluttabile.
I luoghi in cui si svolge l’azione dei Low sono sempre fuori dalla realtà, come un fotogramma dei Coen in cui la scena è sempre un’America polverosa, solitaria e sostanzialmente finta (e non si fa fatica a immaginare un patio in legno con Mimi Parker a prestare i suoi cori alla notte stellata).
Registrato ai Base Studios di Justin Vernon e con l’aiuto di Glenn Kotche dei Wilco alle percussioni, Ones and Sixes è calligraficamente, lowianamente sublime.
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autore: A.Giulio Magliulo