C’è la luce forte di un tramonto infuocato sul deserto nel cuore di Napoli, c’è la polvere sollevata dai piedi della folla che spinge per farsi più vicina al palco e poi ci sono loro, questi Coccodrilli con i loro denti aguzzi, neri e cattivi, dietro i loro occhiali scuri, che sfidano il sole ad andarsene via, a farsi più in là, che dalla prima nota segnata dalle chitarre, lo spazio diventerà troppo stretto per due stelle insieme.
I Crocodiles importano a Napoli il sole della California, quello dove la chitarra elettrica si sostituisce al mandolino. Dal 2008 cavalcano il filone post-punk revival come fosse un’onda.
Due dischi all’attivo con la Fat Possum e la dipendenza totale dall’adrenalina dei live show. Portatori sani di spirito west coast. Ecco cosa sono i Crocodiles. E il frontman della band, Brandon Welchez, ce lo ha raccontato nel backstage dell’ultimo Neapolis Festival, mentre dal palco provenivano neanche troppo lontane le note degli Hercules & Love Affair.
Siete una band californiana fino al midollo. Quali sono gli aspetti di questa appartenenza che vi portate maggiormente dentro?
La California è un luogo meraviglioso per il clima e le persone che puoi incontrare, ma come tutti i posti possiede anche degli aspetti particolarmente negativi, che da noi sono legati alla discriminazione sociale ed economica, per la vicinanza con il Messico e la forte immigrazione che ne deriva. La nostra musica si concentra maggiormente sull’aspetto ludico della cultura californiana, questo non vuol dire che dimentichiamo il resto, ma ci piace riempire le canzoni di quell’energia che è propria della west coast: lo stare sempre in movimento, su spiagge assolate, su e giù dal surf, in connessione con gli altri.
Il vostro prossimo album sarà registrato a New York. Come mai questa scelta di allontanarsi dalle spiagge californiane?
Il producer con il quale lavoriamo vive a New York, per questo ha preferito ospitarci a casa sua durante la registrazione del disco, piuttosto che farci stare in un albergo. Lavoriamo insieme, come una grande famiglia, proprio come la Mafia (ride).
Puoi dirci qualcosa sul vostro nuovo lavoro?
Abbiamo già scritto la maggior parte delle canzoni, sono sostanzialmente diverse da quelle dei due album precedenti, Charles le definisce più intellettuali, forse è solo che crescendo siamo diventati un po’ più svegli.
Quali sono i vostri rapporti con la Fat Possum, la vostra etichetta, e gli artisti della sua scuderia?
Molti di loro non li abbiamo mai incontrati personalmente. Vengono da ogni parte dell’America, e sai bene che l’America è fottutamente grande. I Wavves sono di San Diego, per cui ci conosciamo bene, siamo abbastanza amici.
Dunque anche con i Best Coast?
Assolutamente no, te ne prego. Con Nathan ci conosciamo da prima che mettessimo su le nostre band, ci siamo spesso incrociati come compagni di bevute.
E cosa ne pensi della rissa ingaggiata da Nathan con i Black Lips?
Lui aveva sicuramente ragione, ha questo atteggiamento un po’ da cazzone, ma sono stati loro a buttarla sulla violenza.
Conoscete qualche band della scena italiana?
Certamente, i nostri migliori amici sono gli Smart Cops. [ punk band sotto contratto per La Tempesta Dischi, Per proteggere e servire è il loro ultimo album rilasciato lo scorso inverno].
Marco Rapisarda, ha spesso suonato la batteria nei vostri live. Oltre che essere amici quindi, avete spesso condiviso anche il palco come colleghi. Che cosa significa Egala, la parola che entrambi avete deciso di tatuarvi?
Letteralmente in inglese si traduce con Wicked o Wickman (in italiano qualcosa che spazia da cattivo a maligno, passando per birichino). La prima volta che abbiamo suonato a New York, Marco Rapisarda, bassista degli Smart Cops, è venuto a vederci e a partire da allora è stato preso con noi per quel tour. Siamo diventati fratellos, lui ha coniato questo modo di dire e così ce lo siamo alla fine tatuati entrambi, in onore del nostro legame.
Lo hai fatto fare anche alla tua ragazza?
No, lei ha solo quello delle Dum Dum, come tutte le componenti della band. Ma presto sarà introdotta alla filosofia dell’Egala.
E lei come l’hai conosciuta?
Molto tempo prima che fondassimo le nostre rispettive band. l’ho incontrata in un bar, in realtà non è una storia molto avvincente.
Il vostro live è di gran lunga molto più rock e’n roll del disco, è una differenza voluta?
Ne siamo consapevoli, dopotutto ci consideriamo una live band e l’energia che hai sul palco è difficile da ricreare nello studio di registrazione, lontani dalla folla che canta insieme a te.
Sul palco del Neapolis avete presentato una set list un po’ diversa rispetta a quella della vostra ultima data italiana, lo scorso Marzo a Roma. Avete anche fatto una cover di Lou Reed, siete soliti anche farne altre durante i vostri live?
Quando sei in tour e suoni quasi tutte le sere, inserire cover nella scaletta può essere un modo per divertirsi e le usiamo soprattutto per il soundcheck.
In che modo nascono le vostre canzoni?
Noi della band non viviamo tutti nello stesso posto, spesso succede quindi che ci incontriamo solo pochi giorni prima della partenza per il tour. Generalmente io ho in mente le parole ed una melodia, le registro con la chitarra acustica, poi Charles, che è il miglior batterista della nostra generazione (ride), le ripete con la chitarra elettrica e ci aggiunge le distorsioni. Altre volte invece la canzone parte proprio da lui e ci lavoriamo insieme. Tutto parte comunque da una melodia, in modo estremamente semplice. Ci lasciamo ispirare moltissimo dalla poesia e dalla letteratura. La poesia e il rock sono un binomio perfetto.
Autore: Olga Campofreda
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