Nella sezione interviste di questa webzine c’è quella a Colin Newman che suggerisco di leggere a chi sapesse poco o nulla sui Wire, mentre il resoconto del live può solo confermare il concentrato di potenza e furia iconoclasta a cui ci siamo esposti.
Non sappiamo spiegare bene cosa sia successo su quel palco, ma sotto è stata attonita impotenza scossa da timidi vagiti e singulti interiori che han richiamato la nostra parte più istintuale, più punk. Punk come la valenza ideologica della musica dei Wire, perchè stilisticamente, oltre ad aver contribuito alla sua definizione, lo hanno pure ampiamente superato, macinandolo. Facile cadere quindi nella credenza (rafforzata dall’età dei protagonisti) che oggi i Wire on stage siano un dispiegarsi di forze elettroniche: errore! La vertigine che sentiamo è primordiale, il vuoto generato è reale e palpabile, non un suo surrogato sintetico. E contiene anche una forza innovatrice come solo una musica nata e suonata nel ’77 può avere (il primo album dei Killing Joke o la voce di Mark E.Smith dei Fall possono aiutare nel rendere questo concetto). Unico dubbio: 50 o 60 minuti così son sufficienti?
Autore: A.Giulio Magliulo