Tra le tante cose che si rincorrono nella fretta quotidiana e nella ricerca di stare al passo con la velocità della rete ci eravamo fatti sfuggire questo gioiellino intitolato “The Evanescence Of A Thousand Colors”, album pubblicato lo scorso autunno attraverso la Karaoke Kalk di Thorsten Lütz da parte di Emanuele Errante, compositore originario di Pomigliano d’Arco giunto tra progetti e collaborazioni al quarto disco, secondo per l’etichetta berlinese fondata a Colonia e successivo a “Time Elapsing Handheld“, pubblicato nel 2011.
Va altresì anticipato che l’autore campano, in periodo di grande ispirazione, ha nel frattempo annunciato anche un quinto lavoro che sarà pubblicato il prossimo 17 agosto, ma per adesso vi sono pochi dettagli da poter rivelare.
Un battito costante … frammenti di note … microsuoni da brulicante natura, mutamento da pupa embrionale. Si apre così, in maniera armonica e distesa, il percorso fluido di “The Evanescence Of A Thousand Colors”; il titolo dell’album gioca con il doppio significato del termine ed è stato ispirato da un discorso TEDx della scienziata statunitense Pratyusha Pilla sul tema del colorismo, vale a dire una discriminazione basata esclusivamente su skintone, una sorta di “pantone” della pelle.
“Mi sentivo come se volessi dire qualcosa sul vergognoso rigurgito razzista che stiamo vivendo in quasi tutti i paesi che dichiarano di essere i campioni della civiltà“, afferma il compositore sull’argomento che ha informato il suo nuovo album. “Pratyusha ha acceso una luce in me. In effetti, un passaggio della sua lezione è campionato sul centrotavola dell’album“.
Alla opening track seguono le suggestioni di ‘Hiraeth’, un brano che punta alla profondità grazie alle tessiture sonore dai colori più cupi oltre alle riuscitissime risoluzione armoniche, sacrali contrapposizioni di tonalità in chiave maggiore e minore che si sovrappongono in ondivaghi flussi in un impressionismo musicale che ricorda il luccicare del sole sulle onde del mare.
Con ‘Comhaltas’ torna la pulsazione, ma in questo caso è pacata e con essa il disturbo di una costante interferenza, attenuata da splenetici soundscape; ciò sin quando (a circa metà pezzo) il paludato scenario è agitato da un sovvertimento sonoro in cui il disturbo prende la scena e defibrilla le pulsazioni mandandole in un extrasistole elettrico.
‘Shiver’ richiama composizioni più da musica classica del secondo novecento, con il riff ossessivo di simil-piano e le scomposizioni e i bordoni dei suoi archi.
‘Beauty’ invece riconduce l’ascoltatore nuovamente su sentieri da res naturalis cibernetica e si impone come pietra d’angolo dell’intero disco grazie anche alle parole dalla studiosa americana Pratyusha Pilla sul concetto già accennato del colorismo, che in parte riecheggiano all’interno della traccia e che di fatto sono il tema portante dell’intero lavoro discografico … “Beauty is a subjective experience”…
Lo sfaldarsi dei lenti ribalzi elettrici di ‘Komorebi’, nelle sovrapposizioni, quasi casuali di suoni, precipita l’ascolto in un lento cadere frenato nel finale dall’apertura dei bassi, unici appigli a cui aggrapparsi.
‘Mist’, con le sue cadenzate interruzioni, prodromi del cambiamento, apre le porte su un claustrofobico elettro-acustico in crescendo che poi sfocia in ‘Sonder’, sognate e rilassata chiusura contemplativa per un disco equilibrato nelle sue esposizioni musicali, nelle sue visioni e nella capacità di rendere nitide tutte le sue sfumature.
“The Evanescence Of A Thousand Colors”, scorre fluido, ha i tempi e la lunghezza giusta, è molto facile lasciarsi catturare da fluttuazioni magnetiche e da massaggi sonori in ambienti vellutati e non bisogna meravigliarsi se si ha voglia di suonarlo più volte.
E così mentre l’Italia sotto più punti di vista – non meno l’aspetto musicale – sta cadendo in un imbarbarimento ed è sempre pronta a guardare il dito e mai la luna, fortunatamente – come reazione – nel suo sottobosco prolifera il meglio.
Ma è sempre andata in questo modo e naturalmente così come il vino buono, anche la musica buona non è per tutti!