2017: l’anno dello shoegaze 2.0. Non ci credete?! Risponde un self-titled di inediti firmato Slowdive (leggi la recensione), un eccellente ritorno dei Lush, uno discreto per gli Swervedriver, una ristampa remixata in analogico dei classici dei My Bloody Valentine. Persino gli ambigui Telescopes di Stephen Lawrie sono riapparsi quest’anno (pur proseguendo la loro trasformazione dello shoegaze in drone). Un’altra attesissima formazione di “fissa-scarpe” britannici avvalora l’ipotesi che siamo in pieno rinascimento per il sottogenere: i Ride. Tornano al completo i ragazzi di Oxford: Mark Gardener, Andy Bell, Steve Queralt e Laurence Colbert si lanciano nel nuovo millennio con “Weather Diaries”, accantonando le sonorità degli ultimi “Tarantula” e “Carnival of Light” e preferendo ripartire da un suono totalmente modernizzato. Si sprecherebbero i paragoni con “Nowhere” e “Going Blank Again” perché, malgrado si sentano degli echi dei Ride più shoegazer, il risultato di questo lavoro propende per la vena più brit-rock della band. Chi prenderà in mano questo disco aspettandosi una “Kaleidoscope” resterà profondamente deluso. Il sound si è evoluto e adattato ai tempi (tradendo un pochino lo spirito introverso del giovane Gardener che diceva di non voler assomigliare agli U2).
L’apertura del disco è affidata alla distesa ambientale di “Lannoy Poin” disegnata dal producer Erol Alkan (la cui presenza non si limita alla produzione, bensì si presta ad una partecipazione decisamente attiva). Bell e Gardner completano l’ingresso di “Weather Diaries” con un riff tagliente e un cantato sognante, ma non sepolto dagli effetti. “Charme Assault” è un nostalgico carrarmato prog-rock che macina classifiche, seguendo lo stile – non il sound – che fu dei “secondi” Genesis. Sulla stessa scia anche “All I Want”, seppur caratterizzata da sdoppiamenti di voce che proiettano il brano nell’attualità.
L’elettronica fa certamente testo in questo ritorno: al di là delle voci campionate di “All I Want”, “Rocket Silver Symphony” gioca con i Kraftwerk costruendo uno sfondo non convenzionale per un refrain tipico di Gardner, mentre “Integration Tape” si pone come interludio ambient di marca britannica.
A questo punto, vi starete chiedendo… E lo shoegaze? Dove sono i wall of sound, le voci eteree, le vibes sognanti? La verità è che ci sono ma non si vedono. “Home Is A Feeling” è propriamente un ricordo sbiadito e slowmotion di “Only Shallow” (di cui recupera parte delle ritmiche), “Weather Diaries” e “Impermanence” sono poetiche lullabies dream pop (con code psych). Poi, se qualcuno vuole un souvenir arcaico dei Ride, c’è anche la lo-fi “Lateral Alice” che sorride ai bei tempi dell’acerbo “Smile” (il celebre suono definito Hüsker Dü-meets-Stooges).
Delusi? Non credo. Siamo d’accordo che questo non è shoegaze, però il disco c’è e funziona. Lo shoegaze è un genere che ha subito una crescita, è salito dagli scantinati dei locali di Londra e adesso cammina fieramente per Trafalgar Square, tra turisti che lo incontrano per la prima volta e vecchi conoscenti che non rivede da anni. “Weather Diaries” è – al pari del ritorno degli Slowdive – un manifesto d’intenti di un rinato movimento; ogni paura di una massiccia operazione nostalgia è svanita. Lo shoegaze 2.0 è un suono a metà strada tra il nuovo singolo “Cali” e la “Star Roving” dell’ultimo album degli Slowdive: sta ancora prendendo forma. Dunque, lasciamo alle ristampe “Nowhere” e affini, e concediamoci un alternative rock fatto dai nostri shoegazer di fiducia, stavolta con qualche ambizione in più.
https://www.thebandride.com/
https://www.facebook.com/RideOX4/
autore: Gabriele Senatore