Da The ’59 Sound secondo album del 2008, intorno ai Gaslight Anthem le aspettative sono cresciute in maniera esponenziale.
Tanto per citare Bruce Springsteen li considera come i suoi figliocci, inserendoli in un sondaggio della rivista Q, tra le principali band emergenti e arrivando in più di un’occasione a divedere con loro il palco di un concerto. In questi giorni Rolling Stone ha iscritto il nuovo lavoro American Slang tra i 40 album da seguire nel 2010.
In effetti ascoltato American Slang non si può non pensare a come il gruppo sia riuscitio nella difficile impresa di creare un suono tutto personale, pur prendendo spunto dai grandi del passato.
In pratica una sintesi perfetta tra i Replacements e Bruce Springsteen. Di sicuro i Gaslight Anthem dimostrano di sapere reggere la pressione, American Slang, come il precedente, suona sincero e carico di energia con 10 tracce fatte riff di chitarra semplici ed incalzanti, di ritornelli irresistibili con tanto di oh-oh. La voce ruvida di Brian Fallon che riesce a trasmettere grandissima emotività.
Un fortunato mix di punk e blue collar rock, solo con un suono meno sporco. Chitarre semplici ma energiche e una sessione ritmica veloce e coinvolgente rendono l’album godibilissimo dieci inni catartici ma anche malinconici.
A comporre American Slang sono dieci canzoni che risentono fortemente i temi classici dell’immaginario collettivo americano. Canzoni che parlano dunque della vita vissuta, della quotidianità dei ragazzi nati e cresciuti in una periferia, storie di evasione, di emarginati come nella tittle tracks: < >.
Il resto dell’album prosegue su questa falsariga, tra veloci scorribande come Stay Lucky, Orphans, Boxer, Old Haunts, The Spirit Of Jazz, frammenti di un’ideale Darkness on the Edge of Town dei nostri giorni, rivisitato con l’attitudine di Joe Strummer. Se non altro per l’ energia di esecuzione.
Bring It On ricorda il Tom Petty ad The Heartbreakers di Refugee. The Diamond Church Street Choir e The Queen of Lower Chelsea sembrano outtake dello Springsteen più giovane.
I Gaslight chiudono l’album con We Did It When We Were Young, una ballata venata di malinconia: <
La voce che si alza in tonalità e il ritornello ripetuto all’infinito. Poche frasi secche e chiare.
Non a caso i Gaslight Anthem sono tra i gruppi preferiti di Bruce Springsteen e i motivi si trovano uno dopo l’altro in questo loro nuovo lavoro.
Freschezza giovanile, passione, rigore, serenità dettata dalla consapevolezza dei propri mezzi tecnici e artistici.
American Slang testimonia il salto di qualità da parte di una band che ha plasmato in maniera genuina e fragrante un suono al tempo stesso classico e moderno, non una spudorata clonazione di Springsteen.
Siamo sicuri che i quattro ragazzi del Jersey che non finiranno di stupirci.
Autore: Alfredo Amodeo