Annunciato subito dopo la pubblicazione di Screen Memories, Addendum è uscito sempre per la Ribbon Music in questi giorni, all’interno del cofanetto costituito dai suoi quattro dischi fin qui pubblicati, Screen Memories, appunto, e i precedenti Songs, Love is Real e We Must Become the Pitiless Censors of Ourselves.
L’Addendum non fa altro che confermare le tendenze fondamentali di questo artista, che si definisce fautore dell’hypnagogic pop: traendo da Ariel Pink, Alan Parsons, Brian Eno e Mike Oldfield tutti gli esperimenti possibili, Maus genera una musica distopica, cerebrale, a tratti lobotomica, rivisitando l’elettronica anni ’80 in una chiave particolarmente sperimentale.
L’ispirazione tratta da Ariel Pink è vera e propria citazione diretta in Privacy, cover in chiave ulteriormente elettronica del musicista di Los Angeles. Ma anche gli altri pezzi cercano di combinare, come nella scuola di Pink, sintetizzatori, computer e tutti gli strumenti non immediatamente fisici per ottenere un mood che è contemporaneamente futuristico e dal sapore di passato, di quegli effetti alla Alan Parsons in particolare che gli eighties hanno visto nascere.
La ricerca di Maus non approda però in Addendum a un risultato felice: forse perché il disco è una raccolta di inediti non finiti negli altri album, sta di fatto che nessuna delle canzoni, peraltro brevissime, del disco si può definire un capolavoro dell’artista. Si ha la sensazione, a partire da Outer Space, che ci sia un’unica trama musicale che scorre ininterrotta per 12 tracks, con poche, pochissime variazioni di ritmo. Le tracce sembrano più che altro esperimenti, come se Maus volesse tirare e portare a massima esasperazione il suo pop hypnagogico, che in realtà qui non produce grandi effetti emozionali, proprio perché al contrario suona come una musica troppo cerebrale. Middle Ages, Running Man, I Want to Live e Outer Space sono i pezzi più dinamici, quelli in cui si cerca e si tenta qualche variante, ma Dumpster Baby, Mind the Droves, Figured it Out e in fondo tutti gli altri non emergono da un fondo indistinto di synth e loop di batteria che non ha una trama reale.
Il vero problema di questo disco è che non ha un’anima: suona come un esperimento, e probabilmente lo è, ma è privo di vera vita. E’ tecnica ma non melodia, cervello ma non sentimento, esercizio e non ispirazione. E non ha portato più lontano il suo autore dai traguardi già raggiunti.
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autore: Francesco Postiglione